A sei mesi di distanza, la storia si ripete a Gaza. Dopo aver chiesto l’impossibile evacuazione di centinaia di migliaia di palestinesi affollati al confine con l’Egitto, l’esercito israeliano ha iniziato ieri l’offensiva a Rafah, ultima città della Striscia ancora “libera” dal controllo sionista. Durante la notte i carri armati hanno attaccato e bombardato centinaia di case. Secondo fonti palestinesi, i primi bombardamenti hanno provocato la morte di 20 persone, di cui 8 minorenni.
In questo contesto veniamo a sapere che nell’ambito di un’imponente esercitazione militare nel Mar Mediterraneo saranno coinvolte anche diverse università italiane.
Tra queste, l’Università di Trieste.
Come sempre più spesso accade, l’esercitazione non riguarderà solo il dispiegamento militare, ma anche operazioni di protezione civile a supporto di popolazioni calamitate: l’intreccio tra ambito civile e militare è sempre più stretto in un nodo mortale ed è, probabilmente, il motivo per cui verranno mobilitate – senza soluzioni di continuità – mezzi, personale e infrastrutture della marina militare, dell’esercito, dei carabinieri, della protezione civile, della croce rossa, degli enti di ricerca e delle università.
Una mobilitazione totale e permanente, in cui è un’intera società a rivolgersi, produrre e armarsi per la guerra, sia sui fronti esterni sia su quello interno (come accaduto già con la gestione militare della pandemia, o nei pattugliamenti dei confini in Carso).
Mentre il genocidio a Gazacontinua, lo fa anche la mobilitazione a sostegno del popolo palestinese, ovunque nel mondo, con un significativo protagonismo delle comunità universitarie, che rivendicano la fine delle collaborazioni con le università israeliane, con l’industria bellica (in Italia particolarmente con l’azienda Leonardo) e con l’Eni, firmataria di un accordo per l’esplorazione di giacimenti di gas di fronte alla costa di Gaza.
I e le student* hanno capito l’importanza delle strette interconnessioni tra accademia ed economia della guerra, e perciò hanno puntato il dito sulla complicità con il regime coloniale e genocida di Israele. In questo contesto, nelle prossime settimane, i Giovani Palestinesi hanno lanciato un’”Intifada delle Università”.
Aggiungiamo questo ulteriore tassello a questa tendenza strutturale alla guerra, perché possa essere smascherata, denunciata, bloccata. La guerra parte da casa nostra, fermiamola!