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[01/05] Primo Maggio – spezzone sociale contro carovita e gentrificazione!

Fine del mondo, fine del mese stessa lotta!

Il primo maggio, giorno simbolo della lotta di lavoratori e lavoratrici per ottenere salari, diritti e condizioni di lavoro migliori è quantomai importante ancora oggi e non come IL giorno di lotta, unico nell’anno in cui scendere in piazza, ma come UN giorno di lotta in cui è semplicemente più facile prendersi le strade.

Viviamo in un mondo in cui crisi energetica globale, conflitti sempre più disumanizzanti e la cieca rincorsa al profitto a ogni costo dominano politica e interresi capitalistici. Chissenefrega del clima, degli esseri viventi e della qualità della vita delle persone. La tutela del Profitto –privato– è oggi più che mai l’unico obbiettivo di governi e amministrazioni: lo vediamo in tutte le riforme, leggi e bonus creati ad-hoc per non intralciare gli interessi di grandi corporation e padroni.

Il Capitale deve crescere, non importa se grazie allo sfruttamento del territorio e delle sue risorse, alla compravendita di armi e morte o allo sfruttamento di lavoratori e lavoratrici.

La flessibilità del lavoro viene sbandierata come desiderabile e competitiva, meglio ancora se abbinata alla disponibilità di lavoratori e lavoratrici a essere sempre contattabili, dispost* a lavorare ore extra (gratis, chiaramente). I salari però restano al palo. Nel frattempo affitti e prezzi salgono ogni anno di più. Secondo i dati dell’IMF il 45% dell’inflazione da inizio 2022 a oggi è causata dall’aumento dei profitti: come al solito la famosa “crisi” significa impoverimento dei popoli per arricchire le tasche di pochi!

Anche nel piccolo della nostra città vediamo come politica e affaristi rincorrano solo il profitto a ogni costo: grandi navi e ovovia sono sbandierati dall’amministrazione comunale come l’un’occasione di ripresa economica della città. Si sceglie di inseguire il turismo di massa e la devastazione ambientale in cambio di impieghi sottopagati, stagionali e precari, mentre proprietari di alberghi, bar e ristoranti si riempiono al solito le tasche sulle nostre schiene. Stage non retribuiti, periodi di prova in nero mai rinnovati, orari di lavoro al limite dello schiavismo si nascondono dietro ogni offerta di lavoro.

Intanto i prezzi nel centro città diventano impossibili: affitti di monolocali o bilocali superano i mille euro, bettole e negozietti chiudono per dare posto a bar e alimentari di lusso a esclusivo uso e consumo dei turisti e di quella minuscola fetta di popolazione che può permetterseli. I rioni periferici sono invece ignorati, l* abitanti inascoltat* e svilit*.

La crisi climatica è causata in massima parte da chi sta seduto nelle stanze del potere e continua a foraggiare il mercato del fossile e quello delle armi, da chi per mettere un pugno di milioni nelle tasche del padrone di turno abbatte boschi, buca montagne e draga i mari, da chi continua a seguire il mito della crescita perenne. Siamo stanchi e stanche di pagare il prezzo della loro avidità, di veder eroso il nostro spazio di vita in città, sempre più schiacciato fuori dai quartieri da turistificare, fuori dai luoghi che devono essere per i ricchi, sempre più cementificato e grigio. Per cercare di farci stare zitti e zitte ci chiedono di tenere giù la testa a lavorare senza lamentarci, mentre la politica si serve della questura oliando e spingendo la macchina della repressione, come solo in anni molto bui ha osato fare in passato.

Il primo maggio saremo anche noi in piazza proprio per riprenderci una giornata di contestazione che è la nostra, dei lavoratori e delle lavoratrici, delle studentesse e dei disoccupati. Vogliamo ribadire chiaramente che c’è bisogno di forza, determinazione e cambiamenti radicali per affrontare le sfide sociali.

Basta cercare di rattoppare un sistema capitalista in crisi perenne, basta cercare di tutelare gli interessi dei ricchi del pianeta, basta politiche che scaricano su* ultim* i fallimenti di un modello economico disastroso. Non sono posizioni pacificatrici nei confronti dei governi che daranno risultati, ma un’opposizione tenace contro ogni prevaricazione.

Ci vediamo il primo maggio, con i sindacati di base e gli altri spezzoni movimentisti della città, ore 9 campo san Giacomo.

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25 aprile: cosa dire (e fare) di fronte all’orrore che ci sta attorno

Alla fine il corteo del 25 Aprile siamo riusciti a farlo. Avevamo chiarito dall’inizio le nostre intenzioni e così è andata: evidentemente qualche ragionamento qualcuno se lo sarà fatto nei locali della questura. Di fronte alle centinaia di persone convenute, e a un certo livello di determinazione e coscienza, qualcosa hanno dovuto concederlo. Possiamo vederla anche al contrario: è sempre possibile strappare qualche metro di strada, o qualche ora di tempo, con la giusta dose di volontà collettiva. Non tutto può essere controllato con lo scudo e il manganello, o qualche pezzo di carta timbrato.
Alla fine anche di questo si tratta nella nostra pratica militante. Rompere i tempi e gli spazi della quotidianità dietro cui si nasconde l’orrore dell’epoca in cui viviamo. Il 25 Aprile, per noi, non poteva che essere questo: mettere un po’ di sabbia nell’ingranaggio della commemorazione che, svuotando il ricordo (e forse dovremmo dire la trasmissione delle pratiche e dei valori) della Resistenza, vorrebbe normalizzare anche il presente. Lo ricordiamo quindi ai cravattari e agli ipocriti, ai poliziotti di ogni epoca e ai commentatori, anche perché gli altri – eredi postfascisti del regime, che siedono tra i banchi del governo – lo sanno già molto bene e ancora commemorano i loro morti (o non se ne accorgono i sarti e le carogne ogni 10 febbraio?): la Resistenza è stata insurrezione popolare, riscatto contro il nazi-fascismo, guerra di liberazione, fatta di boschi, strade e violenza contro gli oppressori; bestemmie, lacrime e sangue.
Qui dalle nostre parti, in particolare. È l’eroica resistenza del TIGR (oggi li metterebbero al 41 bis), degli scioperi operai (Salvini gli farebbe la precettazione) e della lotta (armata) comune, oltre le lingue e le linee di confine, anche contro i collaborazionisti e i profittatori dell’ultima ora, quando ad esempio – a regime caduto – si trattava di recuperare la struttura dello stato fascista in chiave anticomunista.
A chi pensa che – passate diverse decadi – si possa trattare la Resistenza come un fatto risorgimentale e pulito, gestito da buone borghesie e in perfetto ordine democratico, rispondiamo con i fatti, e anche con qualche bombone. Rispondiamo che di quegli anni preferiamo ricordare, e imparare, altro: lo slancio verso la liberazione, le comunità che si sollevano contro gli oppressori, lo spirito fraterno che si instaura tra i e le ribelli.
Belle lezioni, che ci insegnano anche – se solo si superassero le parole con le maiuscole: la Democrazia, i Valori, la Libertà, ad uso e consumo della mistificazione della storia e della realtà – l’importanza di attaccare le strutture del dominio (nazifascista, sia mai che qualcuno pensi ad un’istigazione, quando è solo apologia). Tradotto: le infrastrutture e la logistica dell’economia di guerra (i treni, ad esempio, non ancora ad alta velocità), come anche le sedi dei giornali collaborazionisti, i palazzi del governo, le strutture della repressione, le caserme e ogni altro dispositivo legato all’oppressione.
Cosa credete che attaccassero i partigiani? Sta fregna? 
Come credete che rispondessero quelli attaccati? Urlando alla diserzione, al terrorismo, ai modi scomposti; con le rappresaglie, la militarizzazione, i tribunali speciali e una buona dose di propaganda.
Ecco, ognuna a casa, o in strada, con le proprie letture. Ognuna a casa con le proprie scelte: una perquisa per entrare in Risiera o un corteo determinato, ad esempio. Perché anche su questo qualcosa, prima o poi, andrà detto: com’è che la Risiera, il 25 Aprile, da fatto sociale di memoria e comunità, si è tradotta in una caserma al servizio dei parrucconi? Li si potrà almeno mandare affanculo, o valgono solo le carte bollate in questo tempo che miscela, come solo la banalità del male è in grado di concepire, il pensiero perbenista e le stragi?
Un miscuglio pericoloso, quello tra benpensanti e apologeti di decoro e sicurezza, che apre la porta a nuovi fascismi lasciandogli spazio. Servivano le prove? Nella notte il monumento ai caduti della resistenza al cimitero di Sant’Anna viene imbrattato: “25 Aprile lutto nazionale” si legge scritto sopra la stella rossa e l’elenco dei caduti. Quella mano dice molto di più di quanto ci fanno credere: per chi – ed è una società intera ad andare in quella direzione – sta dalla parte della stretta autoritaria e guerrafondaia del nostro tempo, come può la Resistenza non essere lutto nazionale?
Ad ognuno i suoi lutti, a noi le nostre lotte!
Ma parliamo pure del linguaggio scurrile degli antifa, della macchina della municipale fermata in parcheggio, depistiamo e sviamo il discorso, così che quella scritta scompaia dalla memoria collettiva, non faccia incazzare né sollevi domande o azioni di protesta. 
Perché, alla fine, il cuore della questione è uno. Cosa dire, e quando possibile fare, di fronte all’orrore che ci sta attorno? Al genocidio automatizzato di Gaza, all’imprigionamento sociale, alla normalizzazione delle stragi in mare e lungo la rotta balcanica. Ai cpr, alle carceri. Alla mobilitazione permanente verso la guerra, che ci passa accanto, nelle ferrovie, nei porti, nelle industrie. Alla devastazione dei territori. Al capitalismo che ci spreme attraverso il lavoro salariato e il consumo obbligato, e che schiaccia i più poveri per impedire che alzino la testa.
Lo chiediamo anche ai sarti della bella civiltà, che – sordi ai discorsi e ai temi portati da chi vuole mettere in discussione il funzionamento del sistema – preferiscono scandalizzarsi per una bestemmia o per un petardo. Uno slogan dà semplicemente conto della gravità dei tempi. Qualcuno la sente, altri ci guadagnano: ecco tutta la differenza, ecco il vostro scandalo.
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25 Aprile: la Questura provoca ancora

A distanza di un anno, la storia si ripete, questa volta come farsa: dopo aver cercato di mettere al bando l’antifascismo nel suo giorno d’elezione e aver clamorosamente fallito, quest’anno la Questura giuliana ci delizia con il vecchio trucco della finta disponibilità. Nonostante l’avviso giunto con largo anticipo e le interlocuzioni verbali avvenute nella massima disponibilità, al momento di arrivare al dunque anche quest’anno scattano le prescrizioni per lx antifascistx.

Un breve riassunto dei fatti: il 16 marzo con una mail comunicavamo alla Questura la nostra volontà di organizzare un corteo antifascista con partenza da Campo San Giacomo alle 9 e arrivo in Largo Martiri della Risiera dopo essere transitati per via dell’Istria […] via di Servola e Ratto della Pileria. Circa un mese dopo, la Questura ci rispondeva, esprimendo perplessità sia riguardo all’orario di partenza che al percorso prima per via telefonica e poi convocando un incontro con la dirigente della locale Digos. Durante la chiacchierata, di fronte alle richieste della Questura, ribadivamo come per noi l’orario di partenza fosse fondamentale, mentre riguardo il percorso ci dicevamo più flessibili: per quanto ci piacerebbe poter scendere Ratto della Pileria, si poteva valutare un giro più lungo, attorno allo stadio, venendo così incontro alla loro esigenza di ridurre il numero di persone intorno alla Risiera, che quest’anno vede per la prima volta l’applicazione di nuove regole di sicurezza e quindi un tetto massimo agli ingressi e potenzialmente una presenza più massiccia di persone all’esterno (secondo la Questura). L’incontro si scioglie con promesse e rassicurazioni, ormai possiamo dire “le solite”.

Nelle prescrizioni arrivate ufficialmente il 15 aprile si “prende atto” delle esigenze espresse dagli organizzatori, ma nei fatti, poi, non si recepisce né viene incontro su nulla. Prescrivendo di “effettuare il preannunciato corteo il 25 aprile prossimo, con concentramento in Campo San Giacomo e partenza non prima delle ore 12:00 seguendo via dell’Istria […], via di Servola, via Carpineto, via Valmaura, via Flavia, via Milani ed arrivo in Largo Martiri della Risiera […] terminando entro e non oltre le ore 15” per il secondo anno consecutivo la Questura cerca di mettere il bavaglio a un corteo antifascista proprio il 25 aprile. Vengono prescritti orari e percorso modificati, a quel punto potevano anche non convocarci la volta prima.

Vogliamo che il corteo sia in contemporanea alle celebrazioni ufficiali perché vuole rappresentarne un’alternativa e una critica. Che il 25 aprile sia ormai una vuota e sterile pantomima, buona per mettersi la coscienza a posto a destra come a sinistra, non serve neanche perder troppe parole a ricordarlo.

Sono proprio le istituzioni locali a portare avanti per prime, nel quotidiano, atteggiamenti fascisti: nell’arroganza del Comune verso i comitati e collettivi cittadini che esprimono critiche e contrarietà sui progetti di gestione dei beni pubblici ed attraverso la marginalizzazione di migranti e persone in difficoltà; nella continua spirale repressiva della Questura, che da anni ormai va contraendo sempre più il diritto a manifestare, e nella persecuzione delle soggettività “scomode”, prostrandosi così ai desiderata di Comune e Regione nel creare una città-vetrina sempre più grande e sempre più a uso e consumo di turismo, speculazione, consumismo.

Come si possa pensare, infatti, che prescrivere un corteo il 25 aprile tra le 12 e le 15 per nessun’altra ragione che non salvaguardare il viavai di auto blu – perché questa è l’unica valida ragione che si scorge, tra le righe del solito “safety and security” e il provvidenziale paravento delle nuove norme antincendio che impongono una capienza massima dentro la Risiera risulta del tutto incomprensibile a chi il 25 aprile l’abbia celebrato anche solo una volta nella vita.

In aggiunta viene anche prescritto un percorso più lungo, che faccia arrivare il corteo in Risiera girando intorno allo stadio e non scendendo direttamente da Servola come era invece stato comunicato. Non avremmo avuto problemi ad integrare il cambio di percorso proprio per venire incontro alle esigenze di Questura e Prefettura di non affollare l’area antistante alla Risiera dal lato di Via Valmaura: l’applicazione di entrambe le misure è irricevibile, in quanto vuole relegare il corteo ad un orario in cui perde di significato ed incisività, mira a renderlo invisibile a chi partecipa alle celebrazioni ufficiali, silenziando e nascondendo agli occhi di cittadinanza e stampa lì presenti gli interventi e le critiche che il corteo porrà.

Evidentemente la Questura quest’anno cerca di non replicare la becera figura dell’anno scorso quando una gestione della piazza criminale aveva visto camionette e schieramenti antisommossa tentare di bloccare non solo il corteo ma anche l’accesso alla Risiera stessa mettendo piuttosto la maschera democratica di chi a parole tutela il diritto a manifestare, a patto che lo faccia obbedendo a tempi e percorsi scelti da loro.

Questo tentativo di imbrigliare le espressioni di dissenso in gabbie di orari e strade, pensate per nascondere e sminuire i contenuti e le richieste che i movimenti portano, non è nuovo e non si limita al 25 aprile per quanto misure restrittive alla libertà di manifestare risultino in questa giornata ancora più surreali del solito ma sono approccio ormai diventato prassi.

Da anni è quasi impossibile organizzare presidi e cortei in centro con motivazioni sempre più fantasiose, inclusa quella di non arrecare disturbo allo shopping.

Al contempo, la macchina della repressione si muove con forza sempre più spropositata: dagli schieramenti di agenti antisommossa in ogni occasione alle denunce che piovono con imputazioni esagerate e circostanziali, con ben pochi risultatati tangibili una volta arrivati in tribunale.

Un occhio meno attento, più malizioso o forse più propenso a vedere trame inesistenti parlerebbe persino di provocazione poliziesca, perché è del tutto naturale che come collettivo non abbiamo nessuna intenzione di accettare queste prescrizioni.

Ribadiamo quindi la nostra ferma intenzione di svolgere un corteo antifascista nella giornata più simbolica dell’anno.

L’appuntamento resta dunque per il 25 aprile alle ore 9 in Campo San Giacomo, più determinatx che mai, per dimostrare il nostro rifiuto e rimandando al mittente ogni ricatto poliziesco.

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[13/04] Aspettando 25 aprile!

Il 25 aprile, come lo scorso anno, abbiamo deciso di lanciare un corteo antifascista. Crediamo che ricordare la liberazione non possa essere solo un momento rituale, ma debba invece essere l’occasione per attualizzare i temi dell’antifascismo militante. Le lotte in difesa dei territori, contro la devastazione ambientale, contro i confini e i CPR, contro la repressione, contro il sistema coloniale, capitalista e patriarcale; quest’anno, con il genocidio in corso a Gaza, ancor di più al fianco del popolo palestinese.

Ci vediamo il 13 aprile alle 16:00 in Campo San Giacomo, per parlare del corteo, stare un po’ assieme e discutere di quanto vogliamo portare in strada!

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[25/04] Corteo antifascista

Il corteo dello scorso 25 aprile ci ha viste in tante, unite dal desiderio di portare in strada l’antifascismo militante oltre le liturgie istituzionali.

Quelle stesse istituzioni che siedono in prima fila alle celebrazioni del 25 aprile mentre sono impegnate in prima fila nel reprimere, multare, sgomberare chi l’antifascismo lo pratica e lo vive ogni giorno.

Il 25 aprile ritorneremo sulle strade che ci hanno negato l’anno scorso, portando la nostra rabbia verso un sistema autoritario, patriarcale e capitalista.

Vogliamo denunciare un sistema coloniale che si è arricchito saccheggiando le ricchezze del mondo e che adesso assiste, quando non alimenta, il genocidio del popolo palestinese. Complici e solidali con la resistenza palestinese!

Vogliamo denunciare anche il clima di guerra sempre più forte, la mobilitazione permanente in cui ci vogliono condurre per la sopravvivenza degli interessi del capitale, dei padroni, per la depredazione delle risorse del pianeta.

Combattere il fascismo, per noi, significa lottare a fianco di chi resiste sopra i tetti dei CPR, di chi attraversa le frontiere senza documenti, di chi si rivolta nelle prigioni e sul lavoro, di chi resiste agli sgomberi, di chi difende i territori.

Sappiamo bene che l’antifascismo e l’autodifesa non può essere delegata a istituzioni e tribunali. Per questo stiamo dalla parte delle compagne che il 3 febbraio scorso, a Budapest, hanno deciso di scavalcare la barricata di paura e silenzio, riprendendosi lo spazio che era sotto assedio dai nazisti. Libertà per Ilaria, Maya, Tobias e Gabriele!

Per questo e per altro! Corteo antifascista in Campo San Giacomo ore 9.00

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[17/03] Inaugurazione L’Impronta – Serigrafia militante

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Aggiornamenti dal CPR di Gradisca

Sappiamo quali siano le condizioni del CPR di Gradisca, di ogni lager di quel tipo. La tortura e la segregazione sono il loro ordine di funzionamento. Lo vediamo quando cerchiamo di portare qualche pacco ai reclusi all’interno: forze di polizia di ogni tipo, in costante tenuta antisommossa, a governare la macchina dell’internamento e della deportazione con il manganello.

Sappiamo anche quanto i reclusi all’interno siano combattivi e resistenti: le rivolte sono continue, i tentativi di evasione si susseguono. Viva la libertà!

Scriviamo tutto questo perché sappiamo che in questi minuti due persone, in un tentativo di evasione, sono salite sul tetto, braccate dalle guardie sotto. Minacciano di gettarsi nel vuoto, a questo sono costretti. Ci sono proteste in corso.

Mandiamo il nostro caloroso abbraccio a tutti i reclusi, a tutti i resistenti. E che tutti sappiano, così almeno da evitare i loro maledetti insabbiamenti, il silenzio in cui vogliono confinare le vite tra quelle mura!

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[12/03] Grandi navi a Trieste: più lavoro o più sfruttamento?

Dopo il primo incontro di qualche mese fa, torniamo a parlare di grandi navi a Trieste, questa volta provando a sfatare il mito dei “posti di lavoro, reddito e crescita economica” tanto sbandierato dalla propaganda comunale.

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Solidarity not charity – Costruire comunità di resistenza

Dopo l’importante iniziativa di ieri, condividiamo alcuni pensieri, consapevoli che la questione del Silos non è un momento marginale, episodico, delle dinamiche complessive che vengono portate avanti a Trieste. È una vicenda che si inserisce direttamente nelle trasformazioni e nei piani di sviluppo della città (e di Porto Vecchio in primis). Basti pensare a quella zona cittadina e alle sue contraddizioni: un centro-vetrina più impostato per lo sbarco delle crociere e per il turismo in generale che per la vita della cittadinanza; l’inutile e dannoso progetto dell’ovovia come unica proposta di “mobilità sostenibile”; la guerra ai poveri dichiarata dal crescente dispiegamento militare e di polizia (con il ghetto Silos come sfondo). Tutti questi elementi convergono vertiginosamente, mostrando il senso e gli effetti di quanto sta succedendo a Trieste.
https://www.youtube.com/watch?v=MYfuRm6Duo8
Di fronte a questi scenari, rivendichiamo l’importanza della solidarietà e della costruzione di esperienze autonome dal basso, anche rispetto ai flussi migratori: un modo per superare innanzitutto la gerarchia razzista che governa le realtà interne ed esterne alla frontiera. La giornata di solidarietà di ieri in Silos ha mostrato che è possibile costruire – anche solo per qualche ora – delle comunità resistenti, trasversali, di lotta e socialità.
Solidarity not charity, il titolo dell’iniziativa, indicava un approccio concreto per riconoscere e riconoscerci all’interno della questione. Lottare assieme, costruire una resistenza prima di tutto politica, una solidarietà di classe e non (solo) umanitaria.
Le persone del Silos sono le stesse che vengono sfruttate nei cantieri della città, nei servizi di delivery, nell’agricoltura, a Trieste e altrove. Che si battono con il sindacalismo di base nei magazzini della logistica contro l’ipersfruttamento del settore, che finiscono nell’inferno dei CPR, e che non cedono neanche di fronte alla violenza più cieca della tortura, perché magari – un giorno – si troveranno senza documenti. Si tratta delle stesse persone che subiscono la violenza della polizia e delle sue istituzioni: per il rinnovo di un permesso di soggiorno o per un controllo in strada, in una guerra interna al povero, al diverso, a chi si ribella.
La situazione del Silos non è dunque solo il risultato dell’inazione del Comune, che pure come segnalato nella giornata di ieri avrebbe tutti gli strumenti per offrire riparo e conforto a chi ne ha bisogno. Lì a fianco c’è una struttura che lo permetterebbe fin da ora, ma evidentemente gli interessi sono altri. C’è la volontà di mantenere e tenere sotto controllo centinaia di persone in arrivo dalla rotta balcanica, in condizioni di sfruttamento e dipendenza, per renderle forza lavoro ricattabile come popolazione di scarto.
Di testimonianze e storie ne conosciamo a migliaia. Metterle assieme, per costruire esperienze di solidarietà, è ciò che può rompere questo meccanismo di segregazione e isolamento, utile solo a mantenere il sistema di oppressione di classe che governa le nostre vite.
Battersi contro il regime delle frontiere e dello sfruttamento è soprattutto una questione politica, non di umanità. È riconoscere le medesime condizioni di sfruttamento e controllo nell’intera società, trovando le alleanza possibili – e auspicabili – per combatterle. Concludiamo dunque portando la nostra solidarietà a due episodi di lotta, a due “incidenti” nell’ordine normalizzato:
– la lotta ai CPR come meccanismi di segregazione razzista dello stato, con il recente arresto di Jamal: resistere alla macchina delle espulsioni è possibile! Il nostro abbraccio a lui e a chi lotta.
– la giornata del Brennero del 7 maggio 2016, in cui una manifestazione blocca la frontiera italo-austriaca in seguito all’annuncio della costruzione di un muro anti-immigrati al confine. Una proposta che si inseriva nell’ottica complessiva del controllo e della violenza di frontiera lungo tutta la rotta balcanica. Una vicenda che a Trieste conosciamo bene, con tutte le conseguenze che continua ad avere sulle persone in movimento. Fra poco la Cassazione sarà chiamata a decidere sulle condanne a decine di militanti a oltre 100 anni di carcere complessivi. Solidarietà, una volta di più, con chi lotta contro questa sistema di devastazione e guerra!
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[19/01] Giornata di mobilitazione in solidarietà a Stecco

Vogliamo far sentire il nostro calore e la nostra solidarietà al compagno Stecco, arrestato dopo essersi dovuto nascondere per due anni a causa della macchina repressiva dello Stato.

Stecco è ora detenuto al carcere di Imperia per vari cumuli di pena, conseguenza della sua militanza contro stato, carceri e capitale. Il 19 gennaio sarà a Trieste, per l’udienza di un processo che lo vedo coinvolto: un’occasione per fargli sentire la nostra vicinanza e ribadire una volta di più la nostra complicità con le lotte che ha portato avanti. Il fatto che gli viene contestato, per cui tra l’altro sono già stati/e assolti/e altri/e compagni/e, fu un’iniziativa che si tenne il primo maggio del 2021, in piena “emergenza” covid, per denunciare i massacri nelle carceri, la gestione autoritaria dell’epidemia, la strage di stato voluta da Confindustria.

Sappiamo che condanne, tribunali e carcere sono frutto di una società ingiusta, che avvita le questioni sociali sulle responsabilità individuali del singolo, fino a scaricare su ognuno ed ognuna di noi la colpa di vivere in un mondo di miseria e devastazione.

Stecco, come tante e tanti, non si è arreso e a testa alta ha continuato a lottare, consapevole che forse, a un certo punto, sarebbe arrivato il conto. Il minimo che si può fare è stargli vicino, portargli solidarietà, rilanciare con forza la giustezza delle lotte che ha affrontato.

Da troppi anni la repressione avanza senza freni, la rete del controllo è sempre più opprimente, le condanne per reati “politici” sono sempre più pesanti. La macchina repressiva schiaccia e opprime chi non accetta un mondo basato sullo sfruttamento, sulla guerra e sulla devastazione del territorio a favore del profitto. Stiamo pagando con la nostra libertà la difesa del sogno rivoluzionario, la lotta per una società libera da ogni forma di dominazione e rispettosa del vivente.

La loro repressione non ci deve spaventare: più le tenaglie si stringono, più vogliamo far crescere compatta e solidale la nostra rabbia.

Diciannove gennaio, a fianco di Stecco!

Presenza solidale – Tribunale di Trieste
Promossa dall’Assemblea contro il Carcere e la Repressione
Ore 11 (in concomitanza con un’udienza di Stecco)
e a seguire, ore 14, presidio sotto il carcere del Coroneo

Serata Benefit – Bibitando e Magnando (via dell’Istria, 24)
Dalle 18, cena e musica con Phoenix Collective, Minoranza di Uno, Dj Sordo, Maria Randagia e Vecchia Volpe!