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Vogliamo far sentire il nostro calore e la nostra solidarietà al compagno Stecco, arrestato dopo essersi dovuto nascondere per due anni a causa della macchina repressiva dello Stato.
Stecco è ora detenuto al carcere di Imperia per vari cumuli di pena, conseguenza della sua militanza contro stato, carceri e capitale. Il 19 gennaio sarà a Trieste, per l’udienza di un processo che lo vedo coinvolto: un’occasione per fargli sentire la nostra vicinanza e ribadire una volta di più la nostra complicità con le lotte che ha portato avanti. Il fatto che gli viene contestato, per cui tra l’altro sono già stati/e assolti/e altri/e compagni/e, fu un’iniziativa che si tenne il primo maggio del 2021, in piena “emergenza” covid, per denunciare i massacri nelle carceri, la gestione autoritaria dell’epidemia, la strage di stato voluta da Confindustria.
Sappiamo che condanne, tribunali e carcere sono frutto di una società ingiusta, che avvita le questioni sociali sulle responsabilità individuali del singolo, fino a scaricare su ognuno ed ognuna di noi la colpa di vivere in un mondo di miseria e devastazione.
Stecco, come tante e tanti, non si è arreso e a testa alta ha continuato a lottare, consapevole che forse, a un certo punto, sarebbe arrivato il conto. Il minimo che si può fare è stargli vicino, portargli solidarietà, rilanciare con forza la giustezza delle lotte che ha affrontato.
Da troppi anni la repressione avanza senza freni, la rete del controllo è sempre più opprimente, le condanne per reati “politici” sono sempre più pesanti. La macchina repressiva schiaccia e opprime chi non accetta un mondo basato sullo sfruttamento, sulla guerra e sulla devastazione del territorio a favore del profitto. Stiamo pagando con la nostra libertà la difesa del sogno rivoluzionario, la lotta per una società libera da ogni forma di dominazione e rispettosa del vivente.
La loro repressione non ci deve spaventare: più le tenaglie si stringono, più vogliamo far crescere compatta e solidale la nostra rabbia.
Diciannove gennaio, a fianco di Stecco!
Presenza solidale – Tribunale di Trieste
Promossa dall’Assemblea contro il Carcere e la Repressione
Ore 11 (in concomitanza con un’udienza di Stecco)
e a seguire, ore 14, presidio sotto il carcere del Coroneo
Serata Benefit – Bibitando e Magnando (via dell’Istria, 24)
Dalle 18, cena e musica con Phoenix Collective, Minoranza di Uno, Dj Sordo, Maria Randagia e Vecchia Volpe!
[08/12] Stecco libero!
Da troppi anni la repressione avanza senza freni: la rete massiva del controllo è sempre più opprimente, le condanne per reati “politici” sono sempre più pesanti.
La macchina repressiva schiaccia da tutti i lati chi non accetta un mondo basato sullo sfruttamento, sulla guerra e sulla devastazione del territorio a favore del profitto.
Stiamo pagando con la nostra libertà la difesa del sogno rivoluzionario, la lotta per una società libera da ogni forma di dominazione e rispettosa del vivente.
La loro repressione non ci spaventa, più le tenaglie si stringono, più cresce compatta e solidale la nostra rabbia.
L’8 dicembre, alle ore 16.00, saremo in Piazza Sant’Antonio in solidarietà a Stecco e a tutti i detenuti e detenute delle carceri. In sostegno di chi ancora alza la testa lottando per la libertà di tutti e tutte.
Vogliamo Stecco libero e sorridente come noi lo conosciamo! Libere e liberi tutt*!
Condividiamo di seguito un testo scritto dall’Assemblea cittadina milanese contro il 41 bis e l’ergastolo in ocasione della chiamata di un presidio lo scorso 15 aprile davanti al carcere di Opera, “con un desiderio di vita per tutte e tutti che [guiderà] la nostra coscienza, lottando per un mondo che non ha bisogno di guerre, che non ammette sfruttati, che non trascura le sofferenze”.
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A fine marzo 2023, il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura ha pubblicato un rapporto sull’Italia dopo aver visitato anche alcune carceri in cui denuncia il sovraffollamento degli istituti (114%). Contemporaneamente l’associazione Antigone ricorda che “attualmente in Italia ci sono oltre 200 persone tra agenti, operatori e funzionari indagati, imputati o condannati per violenze e torture”. La relazione del Garante nazionale dei detenuti sul 41bis scrive che delle 740 persone detenute con questo regime 321 hanno più di 60 anni e 87 hanno più di 70 anni, nell’ultimo anno una decina di persone è morta in carcere, al 41bis.
Dati a cui va aggiunto il conto dei pestaggi, degli abusi e delle violenze compiute dalle forze dell’ordine nelle carceri italiane, che hanno causato 14 morti e centinaia di feriti nella primavera del 2020 e l’altissimo numero di suicidi che in questi ultimi anni stanno accadendo fra le mura: nel 2022 il numero è di 84 detenuti morti suicidi; in tutto il 2020 erano stati 58. L’inclemenza dei numeri restituisce l’immagine di un paese in cui il ricorso alle pene detentive è pratica di governo e motore di consenso. La popolazione carceraria invecchia, a causa di recidive e lunghe detenzioni, ma non mancano i giovani, condannati per reati di lieve entità, immigrati messi all’angolo dalle leggi sulla “clandestinità” che non vogliono, o semplicemente non possono, accettare il ricatto del lavoro sottopagato.
Nel frattempo, la crisi galoppa e l’inflazione riduce i già miseri salari; il conflitto Russia-Ucraina sposta risorse economiche al settore bellico e ripropone un modello di rappresentazione della realtà dicotomico già ampiamente praticato durante la pandemia: o sei con le scelte dello Stato (dei suoi governi) o sei un nemico, mettendo in ombra, come secondarie, tutte le contraddizioni reali che costituiscono il vissuto delle persone.
Il 20 ottobre 2022, Alfredo Cospito, iniziando uno sciopero della fame, individuale e ad oltranza, contro la durezza del regime carcerario a cui è sottoposto, facendone una battaglia per tutti quelli che come lui vi sono sottoposti, apre uno squarcio in questo quadro grigio.
La risposta immediata dei compagni e compagne più vicini ha innescato un importante interesse più generale sul tema. Azioni, presidi, manifestazioni, assemblee e convegni si sono moltiplicate sotto la parola d’ordine “a fianco di Alfredo, contro il 41bis, e l’ergastolo e la sua ostatività”.
Con la sua lotta, Alfredo pone delle questioni generali importanti che sorprendono e non lasciano indifferenti neanche quei settori della cosiddetta “società civile” che si rifanno ad una mutevole concezione dello Stato di Diritto, dell’equilibrio della pena, dei princìpi Costituzionali. La lotta di Alfredo li chiama ad esprimersi, a far uscire dai circuiti specialistici dubbi e certezze.
Così, mentre il governo e parte dell’apparato mediatico cercano di contenere la questione relegandola ad un conflitto tra “la galassia anarchica” (sic!) e lo Stato, lo squarcio aperto da Alfredo si allarga e una gran quantità di galassie mostrano l’immagine di un sistema di governo penale che oppone il carcere alle contraddizioni sociali che non vuole o non sa risolvere.
Per inciso – e per pura coincidenza temporale – questo svelamento trova supporto nell’esito delle due vicende che hanno coinvolto Italia e Francia, l’operazione Ombre Rosse, in cui l’Italia chiedeva a distanza di 40 anni l’estradizione di 10 esuli rifugiatisi in Francia negli anni ‘80, e la richiesta di arresto europeo nei confronti di Vincenzo Vecchi, condannato per il reato del codice fascista di “devastazione e saccheggio” per i fatti di Genova 2001.
Ma il lupo perde il pelo ma non il vizio e mentre Alfredo conduce la sua battaglia per l’abolizione del 41bis e dell’ergastolo ostativo, mentre una tanto diffusa quanto eterogenea solidarietà internazionale lo sostiene ed affianca nella denuncia di queste pratiche di vera e propria tortura, il governo risponde con una serie di provvedimenti che mirano ad un incremento degli ambiti della sfera penale.
Ricordiamo che l’attuale governo ha esordito con una norma sfornata in gran fretta contro i “ravers”, facilmente applicabile a raduni e, perché no, a manifestazioni di dissenso di vario genere. Poi ha cercato consensi invocando carcere per i cosiddetti scafisti, il carcere per le borseggiatrici e i loro bambini, il carcere per gli occupanti di case, legifera pene fino a 3 anni per gli attivisti ambientali e, come ultime in ordine di tempo, le proposte di cancellazione o “ridefinizione” del
reato di tortura (per permettere alle forze dell’ordine di fare il loro lavoro) e all’assunzione di nuovo personale di polizia.
In una fase in cui la crisi economica internazionale manda in tilt il ciclo di produzione e consumo, allargando le fasce di povertà, la risposta del sistema, in difesa di se stesso e dei pochi potentati economico/finanziari di cui è espressione e strumento, è una invocazione emergenziale alla guerra: guerra ai virus, guerra negli scenari internazionali, guerra ai miserabili, meglio se immigrati e neri, vittime di risulta di una macchina sociale che non funziona. Guerra ai dannati della terra. E si sa, ogni guerra ha le sue armi, che siano manipolazioni genetiche, droni e missili sofisticati, leggi speciali e/o carceri ancora più dure.
È una cultura di guerra e di dominio che si diffonde nelle scuole, con l’orrendo connubio del ministero dell’Istruzione con quello della Difesa per condire di militarismo l’educazione dei più
giovani. È la guerra che attraversa il mondo del lavoro con il costante succedersi di vittime ed “incidenti” causati da incuria e brama di profitto, dove gli operai vengono denunciati perché scioperando rallentano la produzione, ed è guerra che atterra sulla società diffusa punendo il dissenso, la sofferenza, il disagio, il bisogno.
Hai rubato e sei povero? Ti viene tolto il sussidio. Sei malato e non puoi pagare? Aspetta. Manifesti davanti al posto di lavoro? Sarai denunciato per aver danneggiato il ciclo produttivo. Occupi una
casa popolare vuota e destinata a restare tale? Sei colpevole di “associazione a delinquere” e così via.
Altro è lo spirito che guida la nostra lotta. È con un desiderio di vita che Alfredo ha iniziato ormai sei mesi fa, il 20 ottobre 2022, lo sciopero della fame e un fortissimo attaccamento alla vita lo ha accompagnato fino ad ora: “Non è vita in 41bis”, scriveva.
È con un desiderio di vita, di una vita vera a migliore, che andremo davanti al carcere di Opera per lanciare un messaggio a chi, recluso, attende la risposta alle sue domande, aspetta per le cure mediche, per i libri, la corrispondenza, a chi non può dare un senso all’esistenza e cerca la libertà. E sarà con un desiderio di vita per tutte e tutti che guideremo la nostra coscienza lottando per un mondo che non ha bisogno di guerre, che non ammette sfruttati, che non trascura le sofferenze.
La Cassazione ha respinto il ricorso dell’avvocato di Alfredo Cospito.
Resterà al 41bis.
Condannato a morte da uno stato assassino!
GIOVEDÌ 16 FEBBRAIO // ORE 17 // LARGO BARRIERA
Scriviamo queste righe nell’urgenza, nella rabbia e nell’angoscia dell’attuale situazione invitando ad una presenza massiccia.
Come saprete, Alfredo Cospito si trova attualmente all’interno di una cella di 41 bis costruita nell’ospedale San Paolo di Milano, restando “murato vivo in quel sarcofago di cemento” e rischiando un collasso in ogni momento. La sua lotta continua contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, come la nostra in suo supporto. Terminerebbe lo sciopero della fame se venisse declassato.
Rimbalzandosi le responsabilità tra istituzioni stanno portando Alfredo Cospito alla morte.
Pensiamo che il 41bis e l’ergastolo ostativo vadano aboliti e che non vogliamo vivere in un paese che fa morire un prigioniero politico in sciopero della fame. Pensiamo che i cambiamenti nella società hanno un tempismo delicato, ci sono momenti in cui posticipare non è neutro, è assecondare. Ci sono momenti in cui non fare niente ha conseguenze storiche maggiori di altri. La partita si sta giocando ora, scendiamo in piazza giovedì.
Fuori Alfredo dal 41 bis!
28 GENNAIO ORE 15.00
PARTENZA CAMPO SAN GIACOMO (TRIESTE)
Alfredo ha ormai superato i 90 giorni di sciopero della fame. Lotta per tutte e tutti noi contro gli abomini giudiziari del 41 bis e dell’ergastolo ostativo, sempre più usati per reprimere il dissenso politico. Da maggio 2022 è stato infatti murato vivo nel carcere di Bancali, senza poter vedere un ciuffo d’erba, un cielo senza sbarre o avere alcun tipo di comunicazione con l’esterno. E’ la ferocia vendetta di uno stato che, dichiarandosi democratico e civile, usa tutta la sua violenza istituzionale per reprimere chi non ha mai abbassato la testa, i suoi nemici giurati.
Tortura è sempre tortura: carcere duro, ergastolo senza fine o benefici, regimi differenziati, stragi nelle carceri (come accaduto durante le misure sanitarie d’emergenza, con 14 detenuti ammazzati) – qualunque sia la retorica che li giustifica – rimangono delle pratiche indegne, da fermare immediatamente. La loro funzione, come per tutte le disposizioni emergenziali di cui abbiamo subito le conseguenze anche negli ultimi anni, è rendere la barbarie una pratica permanente, accettata per paura o convenienza. Con la cosiddetta “lotta al terrorismo”, da ormai decenni, una scure repressiva è stata calata sulla società: sorveglianza, inasprimento delle pene, fino alla punta più avanzata, i regime carcerari.
Grazie ad Alfredo si è aperta una crepa, guardiamoci oltre! E’ il momento di prendere posizione, sostenere chi lotta con l’unica arma che gli rimane – il suo corpo – decidendo di dedicare la sua vita alla denuncia di questi trattamenti.
No 41bis, No tortura!
Per l’abolizione dell’ergastolo ostativo e dell’emergenzialismo penitenziario!