Il clima di criminalizzazione sulla questione palestinese sta raggiungendo livelli intollerabili. È una logica ormai collaudata, per cui se non sei allineato al pensiero neo-coloniale vieni messo automaticamente fuori dall’arco democratico. Cioè, nella sintassi odierna, sei un terrorista. O con l’Occidente e Israele (la autoproclamata “unica democrazia del Medio Oriente”) o con i terroristi. Questa la logica binaria in cui ci vogliono ficcare a suon di propaganda e forza militare.
Noi invece non possiamo e non vogliamo dimenticare il contesto e i precedenti dell’attuale “conflitto”. Settantacinque anni di occupazione e apartheid, ovvero generazioni di persone nate, cresciute, morte e uccise all’interno di un regime di segregazione. Giogo, violenza e umiliazione perenni che hanno portato anche alla nascita di Hamas, un’organizzazione nazional-islamista finanziata, sostenuta e armata da dittature e regimi teocratici (e nel passato non troppo remoto anche indirettamente dal sionismo israeliano), il cui scopo è la mera vendetta.
In questo contesto, ci piacerebbe potesse essere superfluo precisare che riteniamo l’operato di Hamas, specialmente quello recente, deplorevole, in quanto diretto contro civili a caso piuttosto che contro il potere costituito del sionismo.
Ma come possiamo giudicare ora reazioni e violenze, se nella retorica complessiva di questo conflitto non servono a nient’altro che a cancellarne la storia ed evadere il punto centrale? E cioè che in questa vicenda si tratta, al fondo, di un contesto di squilibrio di forze, di un rapporto coloniale, che non possono essere equiparate in nome dell’equidistanza.
Nella nebbia della logica binaria imposta può accadere di tutto, senza la benché minima reazione. Localmente, ad esempio, succede che il rabbino di Trieste dichiara, durante una manifestazione pubblica in piazza Unità: “Israele vincerà questa guerra […] Siamo davanti a una violenza motivata solo dall’odio contro un popolo. Questo tipo di odio in passato ha rischiato di distruggere l’occidente e rischia di distruggerlo ora”. Nel totale ribaltamento della storia, insomma, si invoca la crociata di civiltà contro il popolo palestinese, complice di resistere da decenni ai soprusi e alla guerra israeliana.
Nella stessa piazza, per due sere consecutive, dei ragazzi al fianco del popolo palestinese sono stati duramente repressi. Celere e Digos a fior di pelle, mani addosso, fermi: il pensiero guerrafondaio si mantiene anche con questo clima di criminalizzazione.
Ribadiamo dunque un paio di punti fermi. Solidali e complici con il popolo palestinese costretto a vivere in condizioni di apartheid e violenza nelle proprie stesse case e terre da quasi un secolo. Contro ogni forma di equiparazione della violenza palestinese davanti alla violenza israeliana. Contro la narrazione di uno stato israeliano “costretto a difendersi” mentre perpetra violenza, abusi, espropri e discriminazioni quotidiane nei con fronti della popolazione palestinese nel silenzio della comunità internazionale. Contro la complicità quotidiana occidentale e italiana con il fascismo dello stato israeliano.
Urleremo sempre: Palestina libera! Israele stato assassino!