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Le meganavi o farsi il bagno vestite: cosa inquina di più?

Una polemica ferragostana che ha riempito le pagine dei giornaletti locali tra i bollini neri dell’autostrada, qualche femminicidio e le raccomandazioni per sopravvivere all’ennesima ondata di calore, fino a bucare le pagine delle grandi testate democratiche che devono rifarsi una verginità a sinistra. La polemica che ha permesso ai giovani precari giornalisti di fare la loro inchiestina intervistando improbabili opinionisti da spiaggia, mentre i colleghi veterani si occupavano di creare il siparietto ai sempre più inascoltabili politicanti.

La notizia in sé è un gravissimo episodio di razzismo che ha avuto luogo al Pedocin, unica spiaggia separatista d’Italia: alcune donne sono state insultate perché stavano facendo il bagno vestite in mare. Tra le motivazioni principali, urlate con convinzione dalle impavide paladine della cultura italica: il bagno vestite non è igienico. Dopo aver pisciato per anni in quei pochi metri cubi d’acqua vicini al principale porto petrolifero del mediterraneo, all’interno di quel golfo che da un paio d’anni accoglie centinaia di crociere, che inquinano l’aria e le acque quanto migliaia di macchine.

Smontata questa prima ridicola ragione, le rughe bruciate dal sole si irrigidiscono. Le voci si fanno più acute, diventando ancora più intolleranti, razziste e banali: “se sono qua, devono adattarsi alla nostra cultura” aggiungendo, a sostegno di ciò, che “l’ha detto anche il sindaco”. Sì, intendono quel personaggio che rivendica il diritto dei penemuniti di commentare i culi delle femmine. Quel sindaco che dieci anni or sono si è lanciato in giacca e cravatta a fianco del molo audace; un sindaco che fomenta l’intolleranza e rigetta chi ha più bisogno, che al momento lascia in stato di abbandondo più di quattrocento persone dentro il Silos; per cui l’unica cultura è quella del cemento, delle grandi opere, sempre inutili e impattanti, e del profitto di pochi “botegheri”; quello che, con la sua amministrazione, sta svendendo la città a capitali stranieri – solo se facoltosi, gli stranieri sono bene accolti in questa città – per creare strutture turistiche di lusso; che sta rendendo di mese in mese, di anno in anno, la nostra città una vetrina commerciale, invivibile per chi la abita tra la precarizzazione galoppante e il costo della vita schizzato alle stelle. Vetrina che presto diventerà una serra, a causa della cementificazione e del disboscamento del verde pubblico.

Chissà se alle signore del Pedocin verrà qualche dubbio sentendo sfrigolare la loro carne sotto i 40 gradi di questa torrida fine di agosto. Probabilmente daranno la colpa alle donne musulmane che, oltre alla loro cultura, hanno portato qua pure il caldo.    L’ultima, più profonda e intellettuale tra le motivazioni per cacciare donne – presumibilmente di religione musulmana – da una spiaggia ritenuta “spazio sicuro”, motivazione ripresa anche dall’assessore regionale Scoccimarro (a cui scappa “per sbaglio” il braccio teso quando si ritrova “casualmente” tra camerati): l’intima preoccupazione che queste donne non siano libere di vestirsi come vogliono, arrivando a contraddire in modo ipocrita la prima asserzione per cui al Pedocin non si può fare il bagno vestite.

L’unica azione empatica e solidale è stata invece organizzata e messa in campo da un gruppo di donne che hanno deciso di dare una risposta a questo attacco razzista. Una risposta semplice e istintiva: un grande bagno collettivo, liberatorio e determinato,tutte vestite ognuna a modo suo. Insomma, la riappropriazione di uno spazio teatro di pratiche fasciste. La speranza è che l’azione sia riuscita a comunicare la violenta sterilità della polemica su come vestire, e che le donne vittime di aggressione possano tornare a testa alta in quella spiaggia, vestite come pare a loro.  Durante questa azione non è mancata l’invasione machista di uno spazio che doveva essere sicuro, di sole donne: giornalisti, poliziotti, e fascisti con tatuaggi innominabili, crocifissi e proiettili al collo sono entrati facendo ciò che pareva loro, malgrado le proteste di tante.  Per le vittime di ogni razzismo, della violenza delle frontiere interne ed esterne, dello sfruttamento e della repressione, del fascismo e del razzismo che dilagano nella quotidianità delle città in cui viviamo: imponiamoci di rispondere sempre, colpo su colpo, senza mezzi termini e senza compromessi.