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Voci dal 25 aprile a Trieste [Assemblea 25 aprile]

Condividiamo dall’Assemblea 25 aprile un comunicato e una controinchiesta sulla giornata del 25 aprile 2025 a Trieste.


Che la paura cambi di campo [comunicato]

Il fascismo regola i corpi attraverso il controllo, la sottomissione e la paura. Il corpo diventa così un apparato dello Stato: disciplinato, obbediente e prevedibile.

Al corpo “fascistizzato” non è permesso sentire troppo, aver bisogno di troppo, non deve fare troppe domande. Deve ubbidire e stare nel suo, preferibilmente tenendosi ordinato.

Il neoliberismo fa lo stesso ed ha spiananto la strada alla situazione attuale: ci controlla e ci regola, illudendoci di avere più libertà (per produrre-consumare-crepare); poi, però, se fai troppo casino, ti reprime lo stesso. Di questi processi siamo statə testimoni noi stessə e lo è stata la Storia, nelle politiche dei vari governi, succedutisi negli ultimi 80 anni.

I partigiani non hanno combattuto per questo, non hanno combattuto per città militarizzate e sorvegliate, per assistere all’apertura di lager etnici chiamati CPR, ai respingimenti sui confini, al susseguirsi di governi completamenti asserviti a padroni che danno stipendi da fame, alle città invivibili con affitti che ci soffocano, alla corsa al riarmo. I partigiani e le partigiane non avrebbero voluto la Liberazione per un popolo che assiste cieco ad un genocidio, né per quelli che arrestano e tengono in carcere tre ragazzi che hanno combattuto contro l’occupazione della propria terra.

Il 25 aprile 2025, a Trieste, si è misurata tutta la distanza tra le forme vuote dell’antifascismo di facciata e l’urgenza della situazione attuale. Cosa fare di fronte al genocidio a Gaza, alla tendenza globale alla guerra, all’autoritarismo dello stato di polizia?

Forme di vita unite dallo stesso desiderio, dalla stessa esigenza, hanno deciso di conquistare, passo dopo passo, coro dopo coro, quello che gli spettava. Delle forme di vita che non vogliono che il proprio corpo diventi un apparato dello Stato.

Queste forme di vita hanno preso parte a una manifestazione – comunicata alla questura, per lo stupore dei pennivendoli locali – con la volontà di testimoniare tutto ciò.

I responsabili dell’ordine hanno, però, sequestrato il corteo poche centinaia di metri dopo la partenza, schierando celerini e carabinieri in antisommossa a sbarrare la testa e la coda della manifestazione.

Il dispositivo di “sicurezza” era ingente: oltre 120 “addetti tra polizia, militari dell’arma, guardia di finanza, artificieri, e poi sicurezza privata e la polizia locale”, hanno titolato festanti i giornali.

Venerdì scorso, però, con coraggio e determinazione, di fronte alle camionette dispiegate, la paura ha cambiato campo. I corpi che resistono e si ribellano alla loro fascistizzazione sempre più prepotente hanno conquistato quello che desideravano: l’arrivo in Risiera, mentre le autorità si dedicavano al loro ipocrita teatrino.

A chi ha organizzato il corteo dei cosiddetti “buoni” (dirigenza della CGIL, dell’ANPI e altri: quelli che i giornali ci tengono a far sapere non aver causato problemi), vogliamo dire che venerdì avete dato prova, per l’ennesima volta, dell’ipocrisia che vi caratterizza. Avete sfilato con uno striscione che cita la famosa frase di Brecht “quando l’ingiustizia diventa legge la resistenza diventa dovere”, ma nel momento in cui l’ingiustizia era appena dietro a voi, non avete fatto né detto niente, anzi: avete creato le condizioni perché altrə antifascistə – quellə “cattivə” – venissero manganellatə. La responsabilità politica di quello che è accaduto è anche vostra, perché di quanto sarebbe potuto succedere siete statə ampiamente avvisatə, ma non avete voluto ascoltare.

La vostra cecità non cancellerà i fatti: l’antifascismo, quello vero, non vi appartiene.

Venerdì delle forme di vita che provano ogni giorno, con fatica, a resistere ad un mondo opprimente, hanno dimostrato che la paura può cambiare campo, che si può, insieme, guadagnare qualche metro e, per qualche minuto, ribaltare i rapporti di potere; che a ‘sta vita di merda esistono delle alternative, da costruire collettivamente; che “l’antifascismo è nostro e non lo deleghiamo” non è solo un bello slogan, ma una pratica quotidiana, da riaffermare e riconquistare assieme.

Palestina libera!


25 aprile a Trst. Una controinchiesta

Il 25 aprile 2025 un corteo antifascista è stato bloccato a Trieste, rinchiuso e caricato in Via dell’Istria, mentre andava in direzione della Risiera di San Sabba, lager di sterminio e tradizionale luogo di commemorazione per la Festa della Liberazione. Come già accaduto in passato, la Questura di Trieste – dopo aver militarizzato la gestione degli ingressi in Risiera, e di conseguenza il giorno della Liberazione tout court – decide di intervenire con manganelli e camionette, in nome della “sicurezza”. Si è scatenato un gran baccano mediatico a causa del fatto che, anziché assistere silenziosamente ad una violenza statale che si è esplicata nel blocco di una manifestazione e quindi nella violazione del diritto a manifestare, le persone in corteo si sono difese senza arretrare di fronte all’improvvisa violenza poliziesca. Con questa controinchiesta vorremmo affrontare alcune questioni emerse nelle ore successive, con parole lontane dal piagnisteo generalizzato dei sindacati di polizia e dell’ANPI.

Chi gestiva l’ordine pubblico a Trieste il 25 aprile? Prima parte di una controinchiesta

25 aprile 2025, Trieste. Un corteo antifascista parte da Campo San Giacomo e imbocca Via Dell’Istria diretto verso la Risiera. La cosa più normale del mondo nel giorno in cui si ricorda la Liberazione. Di punto in bianco, nel giro di pochi secondi, viene sbarrato in un punto deciso a tavolino dalla questura, ovvero un tratto di strada senza via laterali di fuga, bloccato da un cordone di carabinieri e polizia in antisommossa davanti (supportate da tre camionette che con una manovra veloce chiudono completamente la strada) e da un cordone di carabinieri alle spalle (insieme ad altre due camionette). Tra i funzionari della questura che hanno deciso la manovra si può notare lo stesso personaggio che qualche anno prima aveva decretato lo sgombero del porto durante le proteste contro il green pass. Quella volta, indossando fieramente la fascia tricolore, aveva teso il braccio “in nome della legge”, facendo saluti romani nell’ordinare la carica. Si tratta del Primo Dirigente della Polizia di Stato, Fabio Soldatich, già dirigente della polizia di frontiera, la stessa che effettuava “riammissioni informali” dei richiedenti asilo (ovvero respingimenti a catena fino in Bosnia, fuori dalla Fortezza Europa), ritenuti poi illegali e sospesi dal Tribunale di Roma. Insomma, Soldatich: un professionista del disordine che ama la violenza.

I fatti parlano chiaro. Di fronte all’arroganza dello stato di polizia (puntellato recentemente dall’ex ddl 1660, ora decreto legge), al piagnisteo falso e furbo dei suoi sindacati, alla superficialità giornalistica, che si senta la voce di chi era in strada e ha preso le botte per la sola colpa di manifestare il proprio antifascismo.
Moltiplichiamo la controinchiesta dal basso!

“Poteva scapparci il morto”. Seconda parte di una controinchiesta

Nelle immancabili polemiche del giorno dopo, oltre alle veline della questura che non hanno bisogno di fact-checking né di contradditoriosi, c’è stato un profluvio di comunicati dei sindacati di polizia (forse quattro in un giorno solo?), diventati direttamente l’unica opinione pubblica dello Stato in cui viviamo. Commentano, sbraitano, piagnucolano continuamente su ogni cosa, stracciandosi le vesti e inventando fatti per avere più uomini, più armamenti, più leggi, più libertà per poter reprimere il dissenso interno e militarizzare lo spazio pubblico. A Trieste si sono raggiunti livelli parossistici e, non a caso, la sfilza di commenti si è chiusa in bellezza con le sparate del sig. Tamaro, del SAP, uomo in odore di vicinanze con Salvini e grande patrocinatore delle torsioni autoritarie a cui assistiamo. Sicurezza per lui è blindare confini, respingere uomini, donne, bambini, avere mano libera per far chinare la testa a tutti a colpi di manganello. Il perfetto fascista in divisa da poliziotto.

Ebbene, è arrivato persino a dichiarare che durante il corteo antifascista del 25 aprile poteva “scapparci il morto”. Evidentemente, poliziotto nell’animo, ha avuto un rigurgito di memoria, perché di morti a dire il vero ne sono scappati tanti, troppi, proprio per mano delle forze dell’ordine, nella storia repubblicana. Dalla stragi di operai e contadini negli anni cinquanta ai giorni nostri, sarebbe impossibile ricordarli tutti: ci limitiamo a citare Vakhtang, morto di botte nel CPR di Gradisca, i tredici morti della strage delle carceri nel 2020 e Ramy, ucciso in un inseguimento dei carabinieri.

Il morto è già scappato, i morti invadono la coscienza sporca della polizia e delle forze di sicurezza. Questo sipario mediatico è propedeutico al rodaggio del nuovo decreto sicurezza, gonfio di falsità ed esagerazioni. Smentiamone alcune sul corteo del 25 aprile, senza giri di parole: è stato comunicato alla Questura, nessun funzionario dello Stato ha dato prescrizioni, il corteo è rimasto pacifico fino al mamento in cui è stato bloccato. Le manganellate hanno aperto teste, rotto nasi, distorto mani, lasciato lividi neri sulle cosce e sul costato a diverse persone. I capi di celere e carabinieri sono giunti, dopo le manganellate, a dirci di tenere i cordoni in antisommossa a distanza (noi! A loro!) perché “non siamo in grado di tenerli”. A un certo punto, è stato comunicato che “in cinque minuti” avrebbero fatto passare il corteo, comunicazione che è diventata l’ennesima provocazione, visto che i cordoni di celerini non sono rimasti fermi – manganellando qua e là – per ancora mezz’ora.

La rabbia che si è vista nelle immagini è stata la minima reazione difensiva – non c’erano infatti veri oggetti offensivi – di un di un gruppo di antifascistə a cui la libertà più basilare, quella di manifestare, viene sostituita dall’impedimento di quest’ultimo e dalle manganellate.

Di fronte all’arroganza e alle falsità delle “forze dell’ordine”, al piagnisteo dei loro sindacati, alla superficialità giornalistica, moltiplichiamo la controinchiesta dal basso!

“Chi lancia le bombe carta non è un vero antifascista”. Terza parte di una controinchiesta

Tra i commenti che abbiamo letto in merito al corteo antifascista del 25 aprile, ci sono state anche le tristi dichiarazioni dell’Anpi/Vzpi, per il tramite del presidente del comitato provinciale Fabio Vallon. Ora, è evidente che la frase non ha senso, perché anche il presidente dell’Anpi dovrà ammettere che gappisti, partigiani, ribelli e banditi della liberazione di bombe ne hanno lanciate parecchie, ma bombe vere, non petardi. Passi dunque l’affermazione in senso polemico: è facile rigettare anche questa.

Primo: un corteo, se attaccato, ha tutto il diritto di autodifendersi. È quello che è successo il 25 aprile, quando di punto in bianco lo sbarramento di agenti in antisommossa ha bloccato il corteo in un punto senza vie di uscita per caricarlo. Avrà preso anche Vallon qualche manganellata nella sua vita (lo speriamo, altrimenti significa che è stato sempre dall’altra parte della barricata, se non lui stesso la barricata) e saprà che lì ci si difende come si può, a bastoni, braccia nude, petardi, quel poco che si ha. Altrimenti ti aprono la testa e finisce la festa. Altro che liberazione.

Secondo: bombe-carta non sappiamo bene cosa siano, ce lo spieghi Vallon o i sindacati di polizia o le fonti questurine che han dato la notizia. Intendono i botti? Sì, sono esplosi per respingere le cariche, i manganelli che infuriavano sulle teste del corteo. Il resto è propaganda spicciola, per rovesciare la violenza dello stato di polizia sui manifestanti e far passare la favoletta degli “antagonisti cattivi” e della polizia che difende l’ordine democratico. Anche l’Anpi leggerà ogni tanto i rapporti di Amnesty International, no? Mica pretendiamo tanto.

Terzo: contribuire al clima di caccia alle streghe è una mossa quantomeno da paraculo, se non da complice e delatore. Allora è meglio ricordare, una volta di più il 25 aprile, tutti quei partigiani che non hanno riconsegnato le armi, che hanno creduto nella liberazione e nella trasformazione sociale, che hanno combattuto la continuità istituzionale tra regime fascista e repubblicano (motivi per cui sono stati repressi dai giudici democratici). Questori, magistrati, poliziotti, funzionari della pubblica amministrazione che prima si sono imboscati e poi sono stati recuperati per mantenere l’ordine: gli eredi li vediamo ovunque. Come si vede, ognuno ha la sua storia di antifascismo a cui appellarsi: da un lato l’antifascismo militante e di un certo spirito dell’insurrezione (sì, proprio insurrezione) partigiana, dall’altro l’antifascismo di facciata, conformista, istituzionale, ipocrita, quello che Pasolini (poi mistificato) definiva il fascismo degli antifascisti.

Di fronte all’arroganza dello stato di polizia, al piagnisteo di chi dovrebbe difendere partigiani e antifascisti, ai pennivendoli che copia-incollano propaganda poliziesca, moltiplichiamo la controinchiesta dal basso!

I feriti. Quarta parte di una controinchiesta

Fa sempre sorridere leggere i bollettini del giorno dopo quando i cortei finiscono in scontri. Ricordiamo i celerini che si facevano refertare storte alla caviglie perché inciampavano nei boschi della Valsusa, o quell’immancabile numero nei titoli delle notizie, “feriti x poliziotti”. Mai una volta che si indaghi sull’armamento con cui reprimono il dissenso nelle strade, o le cause che portano a questi “ferimenti”. Per quanto riguarda le dotazioni, si tratta di caschi, scudi, parastinchi, paragomiti, paraspalle, para-tutto, in materiale tecnico e leggero sviluppato per scenari di guerra. Protetti di tutto punto e dotati di armi (alla cintola hanno pur sempre una pistola – viva Carlo Giuliani! – e si portano dietro gas CS nei candelotti, manette e manganelli), attaccano, manganellano, provocano. Ogni tanto qualche colpo arriva pure a loro, sotto tutti gli strati di protezione.

In ogni caso, capita spesso che debbano imbastire delle inchieste e inventarsi delle lesioni personali per ingigantire le accuse, renderle più pesanti. Ce n’è capitata una particolarmente divertente, ma tragicamente paradigmatica. Il corteo antifascista del 25 aprile 2023 era stato bloccato e caricato prima di poter arrivare in Risiera – prassi, dunque, che si ripete. Per quei fatti 7 antifascistə sono tuttora rinviati a giudizio per reati di manifestazione non autorizzata, oltraggio, resistenza, getto di oggetti. Tra le carte è comparso il referto di uno dei famosi “feriti” in questo genere di vicende. Si tratta di un agente delle forze dell’ordine, in antisommossa, che si è presentato al pronto soccorso di Cattinara lamentando “algie a entrambe le spalle dopo collutazione”. Cosa mai lo avrà colpito? Letteralmente niente: da referto, “avrebbe menato delle manganellate con il braccio destro e [occhio che qui si raggiunge il parossismo] issato un collega da terra con il braccio sinistro; dopo tali eventi, lamenterebbe delle algie…”. Le frasi, tratte dal referto, letteralmente riportano che l’agente si sarebbe fatto male (il condizionale è d’obbligo di fronte a questa fantasia) mulinando manganellate e alzando un suo collega da terra. Sette giorni di prognosi.

Cosa avrà provocato il ferimento dei due agenti nel corso delle medesime situazioni nel 2025? Lesioni guaribili in pochi giorni uno e in tre settimane l’altro. Spoiler: per quest’ultimo si tratta di lesioni alla spalla, dice la stampa. Forse anche lui ha menato troppo forte? Parebbe di sì, a giudicare dalle ferite, lesioni, colpi in testa ricevuti dai manifestanti che, con molta più dignità, si curano quando necessario e semplicemente sopportano, senza ricorrere a stratagemmi vittimistici per portare a processo qualcuno.

Forse un giorno vi racconteremo anche di quel celerino che, dietro il suo scudo, si è fatto refertare quaranta giorni di prognosi per un colpo al mignolo, diversi giorni dopo i fatti in cui se lo è procurato.

Intanto, un appello va al personale del pronto soccorso, dove abbiamo trovato anche medici e infermieri con senso critico e grande professionalità: diffidate dei dolori, delle algie, degli acufeni dei celerini in servizio, servono solo a intasare la sanità pubblica e portare a processo manifestanti!

Insomma, prima ti fanno la guerra e poi si leccano ferite inesistenti con annunci in pompa magna sui giornali.

Di fronte all’arroganza dello stato di polizia, al piagnisteo dei sindacati di polizia, alla superficialità giornalistica, ecco le nostre parole.

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Iniziative

[01/10] Burjana Outdoor – Un giorno in Questura: verso lo stato di polizia

Martedì 01.10 sarà ancora Burjana Outdoor!

Oltre ai consueti ciclofficina, serigrafia e distro, bar popolare, musica, socialità e spazio bimbə, questo martedi parleremo del Ddl 1660 e dell’opposizione che si sta creando contro la sua approvazione!

Il governo meloni con la legge “elmetto-manganello” – il DDL 1660- attacca e limita senza precedenti ogni libertà di manifestare, scioperare e lottare. Creando strumenti giuridici che permettono di stroncare sul nascere i futuri e inevitabili conflitti sociali.

IL DDL 1660- infatti- introduce nuovi reati e nuove aggravanti di pena. Andando a colpire le proteste contro la guerra con il reato di “terrorismo alla parola”, le proteste contro le Grandi Opere aumentando le pene fino a 20 anni, le manifestazioni contro la catastrofe climatica come i blocchi stradali e legati occupazioni. Introduce pene durissime contro qualsiasi forma di protesta nelle carceri e nei CPR.

Allo stesso tempo il DDL 1660 prevede la totale impunità per le forze dell’ordine permettendo loro di reprimere, picchiare e punire senza subire conseguenze.
Le legge è firmata anche dal ministro della Difesa, a sottolineare che si tratta di misure di guerra per creare un contesto sociale pacificato nella tendenza alla guerra sempre più marcata.

Vediamo già i suoi effetti nella negazione delle piazza per il corteo del 5 ottobre per la Palestina con la scusa dei “rischi per l’ordine pubblico”.

Martedì parleremo e discuteremo insieme presentando anche il coordinamento Rete Liberi/e di lottare – Fermiamo insieme il DDL 1660 che si oppone al decreto.

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General

[21/09] Un pranzo in pretura! [Assemblea antirepressione]

Casa del Popolo di Sottolongera / 21 settembre / ore 13

Ecco il menu antirep che abbiamo preparato per voi per la giornata del 21 settembre, tutto vegan e tutto fatto in casa!

Qualche info organizzativa:
💰Il prezzo solidale del menù (incluso il bere durante il pranzo) sarà di 20 euri MA fateci sapere se avete difficoltà economiche e vi verremo incontro.

📩 Vi chiediamo di prenotare per organizzare al meglio il pranzo. Scriveteci ENTRO IL 14 SETTEMBRE a assembleantirepressionetrieste@riseup.net oppure sui nostri social (nome + numero di persone).

🎪 Stay tuned! A breve la line up delle artiste per il pomeriggio!

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[21/09] Un pranzo in pretura [Assemblea antirepressione]

Un pranzo in pretura – benefit dell’Assemblea contro la repressione di Trieste

Non sapete che fare per festeggiare l’arrivo dell’autunno? Un bel pranzo antirepressione vi aspetta il 21 settembre in Casa del Popolo di Sottolongera!

Purtroppo estate o autunno che sia la pioggia di denunce continua ad arrivare e lə avvocatə vanno pagate.
Ma tranquillə non è questo per noi motivo di afflizione, anzi, ci sembra una buona scusa per ritrovarci ancora una volta per mangiare assieme, fare rete, stringere legami e organizzare il prossimo reato 🤭 (si scherza signori Digos!).

MA ATTENZIONE, non è finita qui!

Dopo il grande successo dello scorso autunno rilanciamo una CALL FOR ARTISTS 💫

Per costruire assieme un momento artistico fatto di performance, mostre, banchetti e qualsiasi cosa possa venirci/vi in mente artisti, artiste e artistu con voglia di contribuire alla giornata!
Non esitate a contattarci se volete contribuire in qualsiasi modo!

[a breve more info su pranzo e performance]

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[19/07] Presidio solidale contro la violenza del carcere

Ancora una volta la rivolta carceraria viene messa a tacere con le botte, il sangue e la morte.

Dopo il marzo 2020 in cui 14 persone sono state brutalmente ammazzate dalle forze dell’ordine in seguito alla rivolta nel carcere di Modena anche a Trieste nel carcere di via Coroneo, giovedì 12 luglio 2024, la rivolta viene soffocata con la violenza e si conclude con la morte. Per le veline della questura c’è lo stesso copione, assalto all’infermeria e morte per overdose.

Grida, fiamme e umane rivendicazioni vengono silenziate nel buio della notte dietro a quelle sbarre e mura dove più che mai è evidente quanto alcuni esseri umani valgano più di altri.

Carceri, CPR e REMS diventano luoghi “banali” della reclusione penale ed amministrativa, dove ammassare e rinchiudere chiunque decida o sia costretto ad opporvisi. Eppure, all’interno del discorso securitario che oggi prospera, lo Stato è ben lontano dal farla finita con le classi pericolose, con la plebe indocile, incontrollabile. Lo confermano le 5 rivolte avvenute solo nell’ultima settimana nelle carceri italiane.

La nostra solidarietà e vicinanza va a chi si è rivoltato e chi si rivolterà finché le sbarre e le mura di tutte le prigioni verranno distrutte. Perché l’unica soluzione ai problemi delle carceri è eliminarle.

Per la lotta e per la libertà.
Solidarietà con tutti-e i-le detenuti-e in lotta.

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[02/07] Burjana Outdoor – Un giorno in Questura

In vista del concerto Benefit di Sabato 6 luglio in Largo Santos alle 19, la Burjana Outdoor di domani sarà antirepressione!

“Le pratiche e gli strumenti di chi porta il dissenso spesso o sono fuori da ciò che è lecito per lo Stato oppure vengono prescritte e vietate come la semplice manifestazione.
Partiremo dalle denunce prese da compagne e compagni qui a Trieste – le stesse che subisce chi lotta in Italia- per comprendere gli strumenti repressivi delle questure e come rispondere ai tribunali.”

Martedì 02 luglio dalle 18.30 alle 22.30
“Un giorno in questura, cronache delle nostre magagne”
Perché la repressione si può affrontare solo con rabbia, ironia e un forte senso di comunità!

A domani! 🔥🔥🔥

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[06/07] Rebel with a cause: concerto benefit! [con Trieste Hardcore]

Trieste Hardcore e Burjana presentano

REBEL WITH A CAUSE: CONCERTO BENEFIT

A distanza di un anno dall’ultimo concerto benefit, portiamo di nuovo in piazza musica e solidarietà.

Questa volta, i processi repressivi (e le corrispondenti spese legali) riguardano ben otto antifascistx,
variamente imputatx e in sostanza presx a capro espiatorio per la giornata del 25 aprile 2023.

Dopo anni di immobilismo e agonizzante ritualità istituzionale, l’anno scorso un centinaio di persone diede vita a un corteo antifascista che voleva tenere assieme il ricordo della memoria partigiana con una pratica di lotta quotidiana nel presente. Si è voluto ricordare quello che fu il nazifascismo — storicamente inteso — in questa città, assieme alla sua eredità odierna, fatta di partiti di governo e sigle “movimentiste” che nel concreto agiscono come braccia di quei partiti nelle strade.

Sfidando ogni senso del ridicolo e della dignità, la Questura triestina cercò di impedire che il corteo antifascista sfilasse proprio il 25 aprile. Grazie alla generosità di compagne e compagni, nonostante i divieti, il corteo ci fu, ma proprio a ridosso della Risiera, luogo simbolo dei crimini del nazifascismo a Trieste, un contingente di celere bloccò la strada alle antifasciste. Al corteo fu impedito di proseguire a colpi di manganello finché i vari Dipiazza, Fedriga e compagnia cantante, ipocritamente presenti in una giornata che dovrebbe cacciarli a calci, non furono “al sicuro” nelle loro auto blu.

Un anno dopo, otto persone vengono nuovamente trascinate in tribunale con le accuse più varie e siamo curiosx di leggere i verbali di polizia di quella giornata. Quello che sappiamo è che cercare di ridurre il 25 aprile e tutto il suo portato storico, culturale e politico all’ennesima questione di “ordine pubblico” sarà una tesi quantomeno controversa e dura da portare avanti.

Tutto ciò tuttavia segna l’ennesimo capitolo nella storia recente della repressione nella nostra città, una saga degna della miglior tradizione fantasy, ma che purtroppo oltre a colpire fin troppo realmente la vita delle persone, le costringe a un costante sperpero di tempo, energie e denaro.

Oltre al processo per il 25 aprile 2023 — che avrà inizio il 3 luglio —, al momento una ventina di processi sono in piedi contro compagne e compagni, e numerose indagini sono attualmente in corso. Oltre a ciò, le questure della regione si stanno cimentando nell’utilizzo sempre più fantasioso di vecchi strumenti fascisti, comminando a numerose compagne fogli di via e avvisi orali.

Da qui l’esigenza di fare di nuovo rete per raccogliere i soldi per chi, con altrettanta generosità di chi lotta in strada, ci difende poi davanti a giudici e corti penali.


Apertura bar e banchetti ore 19
Inizio concerti ore 20:30

Saranno con noi:
Colpisci dove più nuoce
Liz Pegris
No So Far
Corpi Contundenti

A seguire dj set TBA

🔥Nessuna verrà lasciata sola!🔥

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Notizie e comunicati

25 aprile: cosa dire (e fare) di fronte all’orrore che ci sta attorno

Alla fine il corteo del 25 Aprile siamo riusciti a farlo. Avevamo chiarito dall’inizio le nostre intenzioni e così è andata: evidentemente qualche ragionamento qualcuno se lo sarà fatto nei locali della questura. Di fronte alle centinaia di persone convenute, e a un certo livello di determinazione e coscienza, qualcosa hanno dovuto concederlo. Possiamo vederla anche al contrario: è sempre possibile strappare qualche metro di strada, o qualche ora di tempo, con la giusta dose di volontà collettiva. Non tutto può essere controllato con lo scudo e il manganello, o qualche pezzo di carta timbrato.
Alla fine anche di questo si tratta nella nostra pratica militante. Rompere i tempi e gli spazi della quotidianità dietro cui si nasconde l’orrore dell’epoca in cui viviamo. Il 25 Aprile, per noi, non poteva che essere questo: mettere un po’ di sabbia nell’ingranaggio della commemorazione che, svuotando il ricordo (e forse dovremmo dire la trasmissione delle pratiche e dei valori) della Resistenza, vorrebbe normalizzare anche il presente. Lo ricordiamo quindi ai cravattari e agli ipocriti, ai poliziotti di ogni epoca e ai commentatori, anche perché gli altri – eredi postfascisti del regime, che siedono tra i banchi del governo – lo sanno già molto bene e ancora commemorano i loro morti (o non se ne accorgono i sarti e le carogne ogni 10 febbraio?): la Resistenza è stata insurrezione popolare, riscatto contro il nazi-fascismo, guerra di liberazione, fatta di boschi, strade e violenza contro gli oppressori; bestemmie, lacrime e sangue.
Qui dalle nostre parti, in particolare. È l’eroica resistenza del TIGR (oggi li metterebbero al 41 bis), degli scioperi operai (Salvini gli farebbe la precettazione) e della lotta (armata) comune, oltre le lingue e le linee di confine, anche contro i collaborazionisti e i profittatori dell’ultima ora, quando ad esempio – a regime caduto – si trattava di recuperare la struttura dello stato fascista in chiave anticomunista.
A chi pensa che – passate diverse decadi – si possa trattare la Resistenza come un fatto risorgimentale e pulito, gestito da buone borghesie e in perfetto ordine democratico, rispondiamo con i fatti, e anche con qualche bombone. Rispondiamo che di quegli anni preferiamo ricordare, e imparare, altro: lo slancio verso la liberazione, le comunità che si sollevano contro gli oppressori, lo spirito fraterno che si instaura tra i e le ribelli.
Belle lezioni, che ci insegnano anche – se solo si superassero le parole con le maiuscole: la Democrazia, i Valori, la Libertà, ad uso e consumo della mistificazione della storia e della realtà – l’importanza di attaccare le strutture del dominio (nazifascista, sia mai che qualcuno pensi ad un’istigazione, quando è solo apologia). Tradotto: le infrastrutture e la logistica dell’economia di guerra (i treni, ad esempio, non ancora ad alta velocità), come anche le sedi dei giornali collaborazionisti, i palazzi del governo, le strutture della repressione, le caserme e ogni altro dispositivo legato all’oppressione.
Cosa credete che attaccassero i partigiani? Sta fregna? 
Come credete che rispondessero quelli attaccati? Urlando alla diserzione, al terrorismo, ai modi scomposti; con le rappresaglie, la militarizzazione, i tribunali speciali e una buona dose di propaganda.
Ecco, ognuna a casa, o in strada, con le proprie letture. Ognuna a casa con le proprie scelte: una perquisa per entrare in Risiera o un corteo determinato, ad esempio. Perché anche su questo qualcosa, prima o poi, andrà detto: com’è che la Risiera, il 25 Aprile, da fatto sociale di memoria e comunità, si è tradotta in una caserma al servizio dei parrucconi? Li si potrà almeno mandare affanculo, o valgono solo le carte bollate in questo tempo che miscela, come solo la banalità del male è in grado di concepire, il pensiero perbenista e le stragi?
Un miscuglio pericoloso, quello tra benpensanti e apologeti di decoro e sicurezza, che apre la porta a nuovi fascismi lasciandogli spazio. Servivano le prove? Nella notte il monumento ai caduti della resistenza al cimitero di Sant’Anna viene imbrattato: “25 Aprile lutto nazionale” si legge scritto sopra la stella rossa e l’elenco dei caduti. Quella mano dice molto di più di quanto ci fanno credere: per chi – ed è una società intera ad andare in quella direzione – sta dalla parte della stretta autoritaria e guerrafondaia del nostro tempo, come può la Resistenza non essere lutto nazionale?
Ad ognuno i suoi lutti, a noi le nostre lotte!
Ma parliamo pure del linguaggio scurrile degli antifa, della macchina della municipale fermata in parcheggio, depistiamo e sviamo il discorso, così che quella scritta scompaia dalla memoria collettiva, non faccia incazzare né sollevi domande o azioni di protesta. 
Perché, alla fine, il cuore della questione è uno. Cosa dire, e quando possibile fare, di fronte all’orrore che ci sta attorno? Al genocidio automatizzato di Gaza, all’imprigionamento sociale, alla normalizzazione delle stragi in mare e lungo la rotta balcanica. Ai cpr, alle carceri. Alla mobilitazione permanente verso la guerra, che ci passa accanto, nelle ferrovie, nei porti, nelle industrie. Alla devastazione dei territori. Al capitalismo che ci spreme attraverso il lavoro salariato e il consumo obbligato, e che schiaccia i più poveri per impedire che alzino la testa.
Lo chiediamo anche ai sarti della bella civiltà, che – sordi ai discorsi e ai temi portati da chi vuole mettere in discussione il funzionamento del sistema – preferiscono scandalizzarsi per una bestemmia o per un petardo. Uno slogan dà semplicemente conto della gravità dei tempi. Qualcuno la sente, altri ci guadagnano: ecco tutta la differenza, ecco il vostro scandalo.
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25 Aprile: la Questura provoca ancora

A distanza di un anno, la storia si ripete, questa volta come farsa: dopo aver cercato di mettere al bando l’antifascismo nel suo giorno d’elezione e aver clamorosamente fallito, quest’anno la Questura giuliana ci delizia con il vecchio trucco della finta disponibilità. Nonostante l’avviso giunto con largo anticipo e le interlocuzioni verbali avvenute nella massima disponibilità, al momento di arrivare al dunque anche quest’anno scattano le prescrizioni per lx antifascistx.

Un breve riassunto dei fatti: il 16 marzo con una mail comunicavamo alla Questura la nostra volontà di organizzare un corteo antifascista con partenza da Campo San Giacomo alle 9 e arrivo in Largo Martiri della Risiera dopo essere transitati per via dell’Istria […] via di Servola e Ratto della Pileria. Circa un mese dopo, la Questura ci rispondeva, esprimendo perplessità sia riguardo all’orario di partenza che al percorso prima per via telefonica e poi convocando un incontro con la dirigente della locale Digos. Durante la chiacchierata, di fronte alle richieste della Questura, ribadivamo come per noi l’orario di partenza fosse fondamentale, mentre riguardo il percorso ci dicevamo più flessibili: per quanto ci piacerebbe poter scendere Ratto della Pileria, si poteva valutare un giro più lungo, attorno allo stadio, venendo così incontro alla loro esigenza di ridurre il numero di persone intorno alla Risiera, che quest’anno vede per la prima volta l’applicazione di nuove regole di sicurezza e quindi un tetto massimo agli ingressi e potenzialmente una presenza più massiccia di persone all’esterno (secondo la Questura). L’incontro si scioglie con promesse e rassicurazioni, ormai possiamo dire “le solite”.

Nelle prescrizioni arrivate ufficialmente il 15 aprile si “prende atto” delle esigenze espresse dagli organizzatori, ma nei fatti, poi, non si recepisce né viene incontro su nulla. Prescrivendo di “effettuare il preannunciato corteo il 25 aprile prossimo, con concentramento in Campo San Giacomo e partenza non prima delle ore 12:00 seguendo via dell’Istria […], via di Servola, via Carpineto, via Valmaura, via Flavia, via Milani ed arrivo in Largo Martiri della Risiera […] terminando entro e non oltre le ore 15” per il secondo anno consecutivo la Questura cerca di mettere il bavaglio a un corteo antifascista proprio il 25 aprile. Vengono prescritti orari e percorso modificati, a quel punto potevano anche non convocarci la volta prima.

Vogliamo che il corteo sia in contemporanea alle celebrazioni ufficiali perché vuole rappresentarne un’alternativa e una critica. Che il 25 aprile sia ormai una vuota e sterile pantomima, buona per mettersi la coscienza a posto a destra come a sinistra, non serve neanche perder troppe parole a ricordarlo.

Sono proprio le istituzioni locali a portare avanti per prime, nel quotidiano, atteggiamenti fascisti: nell’arroganza del Comune verso i comitati e collettivi cittadini che esprimono critiche e contrarietà sui progetti di gestione dei beni pubblici ed attraverso la marginalizzazione di migranti e persone in difficoltà; nella continua spirale repressiva della Questura, che da anni ormai va contraendo sempre più il diritto a manifestare, e nella persecuzione delle soggettività “scomode”, prostrandosi così ai desiderata di Comune e Regione nel creare una città-vetrina sempre più grande e sempre più a uso e consumo di turismo, speculazione, consumismo.

Come si possa pensare, infatti, che prescrivere un corteo il 25 aprile tra le 12 e le 15 per nessun’altra ragione che non salvaguardare il viavai di auto blu – perché questa è l’unica valida ragione che si scorge, tra le righe del solito “safety and security” e il provvidenziale paravento delle nuove norme antincendio che impongono una capienza massima dentro la Risiera risulta del tutto incomprensibile a chi il 25 aprile l’abbia celebrato anche solo una volta nella vita.

In aggiunta viene anche prescritto un percorso più lungo, che faccia arrivare il corteo in Risiera girando intorno allo stadio e non scendendo direttamente da Servola come era invece stato comunicato. Non avremmo avuto problemi ad integrare il cambio di percorso proprio per venire incontro alle esigenze di Questura e Prefettura di non affollare l’area antistante alla Risiera dal lato di Via Valmaura: l’applicazione di entrambe le misure è irricevibile, in quanto vuole relegare il corteo ad un orario in cui perde di significato ed incisività, mira a renderlo invisibile a chi partecipa alle celebrazioni ufficiali, silenziando e nascondendo agli occhi di cittadinanza e stampa lì presenti gli interventi e le critiche che il corteo porrà.

Evidentemente la Questura quest’anno cerca di non replicare la becera figura dell’anno scorso quando una gestione della piazza criminale aveva visto camionette e schieramenti antisommossa tentare di bloccare non solo il corteo ma anche l’accesso alla Risiera stessa mettendo piuttosto la maschera democratica di chi a parole tutela il diritto a manifestare, a patto che lo faccia obbedendo a tempi e percorsi scelti da loro.

Questo tentativo di imbrigliare le espressioni di dissenso in gabbie di orari e strade, pensate per nascondere e sminuire i contenuti e le richieste che i movimenti portano, non è nuovo e non si limita al 25 aprile per quanto misure restrittive alla libertà di manifestare risultino in questa giornata ancora più surreali del solito ma sono approccio ormai diventato prassi.

Da anni è quasi impossibile organizzare presidi e cortei in centro con motivazioni sempre più fantasiose, inclusa quella di non arrecare disturbo allo shopping.

Al contempo, la macchina della repressione si muove con forza sempre più spropositata: dagli schieramenti di agenti antisommossa in ogni occasione alle denunce che piovono con imputazioni esagerate e circostanziali, con ben pochi risultatati tangibili una volta arrivati in tribunale.

Un occhio meno attento, più malizioso o forse più propenso a vedere trame inesistenti parlerebbe persino di provocazione poliziesca, perché è del tutto naturale che come collettivo non abbiamo nessuna intenzione di accettare queste prescrizioni.

Ribadiamo quindi la nostra ferma intenzione di svolgere un corteo antifascista nella giornata più simbolica dell’anno.

L’appuntamento resta dunque per il 25 aprile alle ore 9 in Campo San Giacomo, più determinatx che mai, per dimostrare il nostro rifiuto e rimandando al mittente ogni ricatto poliziesco.

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