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25 aprile: cosa dire (e fare) di fronte all’orrore che ci sta attorno

Alla fine il corteo del 25 Aprile siamo riusciti a farlo. Avevamo chiarito dall’inizio le nostre intenzioni e così è andata: evidentemente qualche ragionamento qualcuno se lo sarà fatto nei locali della questura. Di fronte alle centinaia di persone convenute, e a un certo livello di determinazione e coscienza, qualcosa hanno dovuto concederlo. Possiamo vederla anche al contrario: è sempre possibile strappare qualche metro di strada, o qualche ora di tempo, con la giusta dose di volontà collettiva. Non tutto può essere controllato con lo scudo e il manganello, o qualche pezzo di carta timbrato.
Alla fine anche di questo si tratta nella nostra pratica militante. Rompere i tempi e gli spazi della quotidianità dietro cui si nasconde l’orrore dell’epoca in cui viviamo. Il 25 Aprile, per noi, non poteva che essere questo: mettere un po’ di sabbia nell’ingranaggio della commemorazione che, svuotando il ricordo (e forse dovremmo dire la trasmissione delle pratiche e dei valori) della Resistenza, vorrebbe normalizzare anche il presente. Lo ricordiamo quindi ai cravattari e agli ipocriti, ai poliziotti di ogni epoca e ai commentatori, anche perché gli altri – eredi postfascisti del regime, che siedono tra i banchi del governo – lo sanno già molto bene e ancora commemorano i loro morti (o non se ne accorgono i sarti e le carogne ogni 10 febbraio?): la Resistenza è stata insurrezione popolare, riscatto contro il nazi-fascismo, guerra di liberazione, fatta di boschi, strade e violenza contro gli oppressori; bestemmie, lacrime e sangue.
Qui dalle nostre parti, in particolare. È l’eroica resistenza del TIGR (oggi li metterebbero al 41 bis), degli scioperi operai (Salvini gli farebbe la precettazione) e della lotta (armata) comune, oltre le lingue e le linee di confine, anche contro i collaborazionisti e i profittatori dell’ultima ora, quando ad esempio – a regime caduto – si trattava di recuperare la struttura dello stato fascista in chiave anticomunista.
A chi pensa che – passate diverse decadi – si possa trattare la Resistenza come un fatto risorgimentale e pulito, gestito da buone borghesie e in perfetto ordine democratico, rispondiamo con i fatti, e anche con qualche bombone. Rispondiamo che di quegli anni preferiamo ricordare, e imparare, altro: lo slancio verso la liberazione, le comunità che si sollevano contro gli oppressori, lo spirito fraterno che si instaura tra i e le ribelli.
Belle lezioni, che ci insegnano anche – se solo si superassero le parole con le maiuscole: la Democrazia, i Valori, la Libertà, ad uso e consumo della mistificazione della storia e della realtà – l’importanza di attaccare le strutture del dominio (nazifascista, sia mai che qualcuno pensi ad un’istigazione, quando è solo apologia). Tradotto: le infrastrutture e la logistica dell’economia di guerra (i treni, ad esempio, non ancora ad alta velocità), come anche le sedi dei giornali collaborazionisti, i palazzi del governo, le strutture della repressione, le caserme e ogni altro dispositivo legato all’oppressione.
Cosa credete che attaccassero i partigiani? Sta fregna? 
Come credete che rispondessero quelli attaccati? Urlando alla diserzione, al terrorismo, ai modi scomposti; con le rappresaglie, la militarizzazione, i tribunali speciali e una buona dose di propaganda.
Ecco, ognuna a casa, o in strada, con le proprie letture. Ognuna a casa con le proprie scelte: una perquisa per entrare in Risiera o un corteo determinato, ad esempio. Perché anche su questo qualcosa, prima o poi, andrà detto: com’è che la Risiera, il 25 Aprile, da fatto sociale di memoria e comunità, si è tradotta in una caserma al servizio dei parrucconi? Li si potrà almeno mandare affanculo, o valgono solo le carte bollate in questo tempo che miscela, come solo la banalità del male è in grado di concepire, il pensiero perbenista e le stragi?
Un miscuglio pericoloso, quello tra benpensanti e apologeti di decoro e sicurezza, che apre la porta a nuovi fascismi lasciandogli spazio. Servivano le prove? Nella notte il monumento ai caduti della resistenza al cimitero di Sant’Anna viene imbrattato: “25 Aprile lutto nazionale” si legge scritto sopra la stella rossa e l’elenco dei caduti. Quella mano dice molto di più di quanto ci fanno credere: per chi – ed è una società intera ad andare in quella direzione – sta dalla parte della stretta autoritaria e guerrafondaia del nostro tempo, come può la Resistenza non essere lutto nazionale?
Ad ognuno i suoi lutti, a noi le nostre lotte!
Ma parliamo pure del linguaggio scurrile degli antifa, della macchina della municipale fermata in parcheggio, depistiamo e sviamo il discorso, così che quella scritta scompaia dalla memoria collettiva, non faccia incazzare né sollevi domande o azioni di protesta. 
Perché, alla fine, il cuore della questione è uno. Cosa dire, e quando possibile fare, di fronte all’orrore che ci sta attorno? Al genocidio automatizzato di Gaza, all’imprigionamento sociale, alla normalizzazione delle stragi in mare e lungo la rotta balcanica. Ai cpr, alle carceri. Alla mobilitazione permanente verso la guerra, che ci passa accanto, nelle ferrovie, nei porti, nelle industrie. Alla devastazione dei territori. Al capitalismo che ci spreme attraverso il lavoro salariato e il consumo obbligato, e che schiaccia i più poveri per impedire che alzino la testa.
Lo chiediamo anche ai sarti della bella civiltà, che – sordi ai discorsi e ai temi portati da chi vuole mettere in discussione il funzionamento del sistema – preferiscono scandalizzarsi per una bestemmia o per un petardo. Uno slogan dà semplicemente conto della gravità dei tempi. Qualcuno la sente, altri ci guadagnano: ecco tutta la differenza, ecco il vostro scandalo.
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[13/04] Aspettando 25 aprile!

Il 25 aprile, come lo scorso anno, abbiamo deciso di lanciare un corteo antifascista. Crediamo che ricordare la liberazione non possa essere solo un momento rituale, ma debba invece essere l’occasione per attualizzare i temi dell’antifascismo militante. Le lotte in difesa dei territori, contro la devastazione ambientale, contro i confini e i CPR, contro la repressione, contro il sistema coloniale, capitalista e patriarcale; quest’anno, con il genocidio in corso a Gaza, ancor di più al fianco del popolo palestinese.

Ci vediamo il 13 aprile alle 16:00 in Campo San Giacomo, per parlare del corteo, stare un po’ assieme e discutere di quanto vogliamo portare in strada!

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Aggiornamenti dal CPR di Gradisca

Sappiamo quali siano le condizioni del CPR di Gradisca, di ogni lager di quel tipo. La tortura e la segregazione sono il loro ordine di funzionamento. Lo vediamo quando cerchiamo di portare qualche pacco ai reclusi all’interno: forze di polizia di ogni tipo, in costante tenuta antisommossa, a governare la macchina dell’internamento e della deportazione con il manganello.

Sappiamo anche quanto i reclusi all’interno siano combattivi e resistenti: le rivolte sono continue, i tentativi di evasione si susseguono. Viva la libertà!

Scriviamo tutto questo perché sappiamo che in questi minuti due persone, in un tentativo di evasione, sono salite sul tetto, braccate dalle guardie sotto. Minacciano di gettarsi nel vuoto, a questo sono costretti. Ci sono proteste in corso.

Mandiamo il nostro caloroso abbraccio a tutti i reclusi, a tutti i resistenti. E che tutti sappiano, così almeno da evitare i loro maledetti insabbiamenti, il silenzio in cui vogliono confinare le vite tra quelle mura!

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Solidarity not charity – Costruire comunità di resistenza

Dopo l’importante iniziativa di ieri, condividiamo alcuni pensieri, consapevoli che la questione del Silos non è un momento marginale, episodico, delle dinamiche complessive che vengono portate avanti a Trieste. È una vicenda che si inserisce direttamente nelle trasformazioni e nei piani di sviluppo della città (e di Porto Vecchio in primis). Basti pensare a quella zona cittadina e alle sue contraddizioni: un centro-vetrina più impostato per lo sbarco delle crociere e per il turismo in generale che per la vita della cittadinanza; l’inutile e dannoso progetto dell’ovovia come unica proposta di “mobilità sostenibile”; la guerra ai poveri dichiarata dal crescente dispiegamento militare e di polizia (con il ghetto Silos come sfondo). Tutti questi elementi convergono vertiginosamente, mostrando il senso e gli effetti di quanto sta succedendo a Trieste.
https://www.youtube.com/watch?v=MYfuRm6Duo8
Di fronte a questi scenari, rivendichiamo l’importanza della solidarietà e della costruzione di esperienze autonome dal basso, anche rispetto ai flussi migratori: un modo per superare innanzitutto la gerarchia razzista che governa le realtà interne ed esterne alla frontiera. La giornata di solidarietà di ieri in Silos ha mostrato che è possibile costruire – anche solo per qualche ora – delle comunità resistenti, trasversali, di lotta e socialità.
Solidarity not charity, il titolo dell’iniziativa, indicava un approccio concreto per riconoscere e riconoscerci all’interno della questione. Lottare assieme, costruire una resistenza prima di tutto politica, una solidarietà di classe e non (solo) umanitaria.
Le persone del Silos sono le stesse che vengono sfruttate nei cantieri della città, nei servizi di delivery, nell’agricoltura, a Trieste e altrove. Che si battono con il sindacalismo di base nei magazzini della logistica contro l’ipersfruttamento del settore, che finiscono nell’inferno dei CPR, e che non cedono neanche di fronte alla violenza più cieca della tortura, perché magari – un giorno – si troveranno senza documenti. Si tratta delle stesse persone che subiscono la violenza della polizia e delle sue istituzioni: per il rinnovo di un permesso di soggiorno o per un controllo in strada, in una guerra interna al povero, al diverso, a chi si ribella.
La situazione del Silos non è dunque solo il risultato dell’inazione del Comune, che pure come segnalato nella giornata di ieri avrebbe tutti gli strumenti per offrire riparo e conforto a chi ne ha bisogno. Lì a fianco c’è una struttura che lo permetterebbe fin da ora, ma evidentemente gli interessi sono altri. C’è la volontà di mantenere e tenere sotto controllo centinaia di persone in arrivo dalla rotta balcanica, in condizioni di sfruttamento e dipendenza, per renderle forza lavoro ricattabile come popolazione di scarto.
Di testimonianze e storie ne conosciamo a migliaia. Metterle assieme, per costruire esperienze di solidarietà, è ciò che può rompere questo meccanismo di segregazione e isolamento, utile solo a mantenere il sistema di oppressione di classe che governa le nostre vite.
Battersi contro il regime delle frontiere e dello sfruttamento è soprattutto una questione politica, non di umanità. È riconoscere le medesime condizioni di sfruttamento e controllo nell’intera società, trovando le alleanza possibili – e auspicabili – per combatterle. Concludiamo dunque portando la nostra solidarietà a due episodi di lotta, a due “incidenti” nell’ordine normalizzato:
– la lotta ai CPR come meccanismi di segregazione razzista dello stato, con il recente arresto di Jamal: resistere alla macchina delle espulsioni è possibile! Il nostro abbraccio a lui e a chi lotta.
– la giornata del Brennero del 7 maggio 2016, in cui una manifestazione blocca la frontiera italo-austriaca in seguito all’annuncio della costruzione di un muro anti-immigrati al confine. Una proposta che si inseriva nell’ottica complessiva del controllo e della violenza di frontiera lungo tutta la rotta balcanica. Una vicenda che a Trieste conosciamo bene, con tutte le conseguenze che continua ad avere sulle persone in movimento. Fra poco la Cassazione sarà chiamata a decidere sulle condanne a decine di militanti a oltre 100 anni di carcere complessivi. Solidarietà, una volta di più, con chi lotta contro questa sistema di devastazione e guerra!
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[23/09] Benefit antifascista! [Assemblea antirepressione]

La giornata antifascista del 23 Settembre in Piazza San Antonio sarà un evento benefit a favore della cassa antirepressione.

La cassa triestina antirepressione è uno strumento utile a contribuire alla copertura delle spese legali delle inguaiatə di turno in un’ottica di solidarietà e responsabilità collettiva. Nella data del 23 si è deciso di organizzare una giornata antifascista a seguito dell’avvio delle indagini contro 8 antifasciste e antifascisti triestine accusate di numerosi reati per aver partecipato, assieme a tante altre, al corteo del 25 aprile a Trieste, prima scandalosamente vietato e poi vilmente manganellato dalla Questura di Trieste.

Combinando momenti di confronto e approfondimento a performance artistiche, vogliamo portare nel cuore della città il dibattito su cosa sia per noi l’antifascismo oggi e su cosa significa la repressione subita da movimenti e soggettività in vari contesti. Con tutto questo vogliamo ribadire l’importanza di non abbassare l’attenzione su temi che sono per noi centrali allo sviluppo di una società inclusiva.


PROGRAMMA DELLA GIORNATA:
ORE 17 // IL CATTIVO DI TURNO
Dibattito sul diritto penale del nemico
ORE 18: DIVIETO D’ACCESSO
Dibattito su migranti e frontiere
ORE 19: LIVE MUSIC
Esibizioni di vari generi musicali

[A breve maggiori informazioni sui dibattiti e sulle esibizioni musicali]

L’intero ricavato della serata, compreso quello dei vari banchetti che saranno presenti in piazza, sarà devoluto a favore della cassa antirepressione.

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[11-13/08] Che si rivoltino tutte le frontiere!

È morta un’altra vita, Moussa, un giovane guineano, mentre la speranza gli muoveva le gambe tra gli ultimi ostacoli del tritacarne, sulla frontiera del Monginevro, lunedì.

Sta morendo un’altra vita, un giovane pakistano caduto in un cantiere, trasportato come macerie da nascondere mentre lavorava sfruttato a Trieste, martedì.

All’atrofia della conta asettica delle morti, alla catatonia dell’impotenza e della paura, rispondiamo con la passione, le lacrime e la rabbia: rifacciamo scorrere l’esigenza di giustizia nelle vene, il coraggio per cui anche sotto regime si può rispondere, la generosità che il privilegio ci concede di usare.

Rispondiamo unite e determinate sull’origine di tutto ciò: la frontiera. Rispondiamo per noi stesse, per la nostra umanità. Rispondiamo perché è intollerabile che esista questo tritacarne fatto per fornire vita esauste e sfruttabili al capitalismo occidentale.

Che tutte sentano il momento, perché il numero determina la portata: per la prima volta ci troviamo a disturbare la frontiera orientale.

Visibilizziamo quel simbolo di morte, aperto solo a merci e documenti accettabili, chiuso alla speranza di un’esistenza migliore. Per la vita, per l’umanità, perché unite si deve e si può reagire.

Venerdì 11/08 ore 19:00 // piazza Libertà, assemblea pubblica

Domenica 13/08 ore 18:00 // parcheggio della frontiera di Fernetti, presidio

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Dalla parte di chi prova ad abbattere quelle mura

Qualche giorno dopo il weekend di mobilitazione contro i CPR e le frontiere, ci teniamo a condividere alcune considerazioni su questi due giorni.

Chi ha partecipato e portato i generi di prima necessità ai reclusi non lo ha fatto per spirito di carità, ma perché ha intimamente capito che in quel luogo di tortura i pacchi che abbiamo consegnato possono trasformarsi in mezzo per allargare le maglie di un sistema che attraverso privazioni e violenza si traduce in tortura.

Il cibo che abbiamo messo dentro a quei pacchi potrà forse aiutare qualcuno a rifiutarsi di mangiare il cibo fornito all’interno del CPR da Ekene, la cooperativa che lo gestisce. Dentro quelle razioni – a Gradisca come negli altri CPR – vengono infatti nascosti psicofarmaci volti ad ammansire i prigionieri (o ospiti, come li chiamano loro). Da qui il significato politico dei generi alimentari, non abbiamo mai voluto rendere più vivibile quel centro di tortura amministrativa.

Un grande grazie anche alle compagne che sono venute a presentarci I CPR si chiudono col fuoco. L’opuscolo (disponibile qui) presenta le testimonianze delle persone rinchiuse e delle rivolte che quest’inverno hanno bruciato molte sezioni del CPR di corso Brunelleschi fino a provocarne la chiusura.

Noi siamo convinte: le affinità politiche più strette si legano attraverso la condivisione delle pratiche di lotta, e per questo ci teniamo a rimandare alla prossima chiamata nazionale, il Passamontagna del 4-5-6 Agosto. Invitiamo chi può a essere presente: la pretesa sovranità degli Stati sui confini nazionali si spezza attraversandoli.

Segnaliamo poi una vicenda estremamente grave, a dimostrazione che la mobilitazione e la solidarietà sono sempre più necessarie per rompere quello stato di invisibilità e isolamento in cui i CPR sono confinati. Nei contatti avvenuti in questi giorni con l’interno abbiamo infatti scoperto che una persona tunisina è in sciopero della fame da tre settimane e negli ultimi giorni è stato portata in ospedale a seguito di atti di autolesionismo. Ieri sera è stato riportato al CPR, ma in una cella e in un’area distanti dai compagni che, in solidarietà, avevano iniziato a rifiutare il cibo. È la seconda volta che intraprende il digiuno nell’ultimo mese, in segno di protesta verso la detenzione arbitraria a cui è sottoposto. Ha avuto problemi politici in Tunisia a seguito delle rivolte della primavera araba, ma nonostante questo la sua richiesta asilo è stata respinta come “pretestuosa”.

Ma le voci dai CPR, per chi vuole ascoltare, parlano di abusi costanti e di persone che nonostante tutto non si piegano: le proteste e le rivolte sono continue, anche se rimangono nel silenzio colpevole di quelle quattro mura. Sta anche a noi farle risuonare, portando solidarietà e appoggio.

Ringraziamo anche per questo le forze dell’ordine, la Prefettura di Gorizia e la cooperativa Ekene che, gelosi di mantenere le persone rinchiuse, sedate e isolate, hanno negato con la forza al presidio di spostarsi sotto le mura del CPR e, sempre con la forza, hanno impedito ai reclusi di far uscire le loro voci da quelle stesse mura.

Come ribadito più volte durante i dibattiti, le persone rinchiuse sono pienamente consapevoli dell’ingiustizia e della violenza che sono costrette a subire all’interno del CPR, tanto da arrivare al punto di mettere a repentaglio il proprio futuro e le proprie stesse vite per far cadere quel muro. C’è chi ha rischiato il rimpatrio per far uscire la testimonianza di un omicidio, c’è chi ha rischiato la pelle per distruggere le mura, il ringraziamento più grande va a loro. Il bisogno profondo di libertà è più potente dell’oppressione quotidiana e soffocante, e il minimo che possiamo fare da fuori è sostenere e amplificare queste voci e questa lotta che riguarda tutti e tutte.

Solidali con chi subisce la violenza dei CPR e delle frontiere e dalla parte di chi prova ad abbattere queste mura.

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[29/06] Assemblea pubblica per la libertà di movimento – Contro hotspot e criminalizzazione delle migrazioni

[Giovedì 29 giugno – Ore 18:30, Campo San Giacomo]

Come ogni estate sale la temperatura sulla frontiera orientale. Mentre dalla rotta balcanica continuano ad arrivare i sopravvissuti in fuga dalle guerre, dalla miseria e dalle crisi climatiche, si rincorrono nuovamente le voci di una nuova stretta sui-lle migranti. Complice anche il nuovo governo, l’ipotesi dell’apertura di un hotspot in regione si fa sempre più concreta: significa, in parole povere, la creazione di un campo chiuso per la prima identificazione dei migranti che varcano la frontiera, dove operare la selezione di chi sarebbe degno di accoglienza e di chi invece andrebbe respinto (o espulso, riammesso, trattenuto in un CPR). Da parte del Comune, invece, il sindaco non trova di meglio da dire che affermare che i migranti – in attesa magari di un posto in accoglienza a cui avrebbero diritto – sarebbero dei “maleducati”, colpevoli di non avere un posto migliore dove stare, perché pervicacemente negato dalle politiche del comune e della prefettura. E come la scorsa estate si decide di affrontare la questione in puri termini polizieschi: presidio fisso delle forze dell’ordine in piazza libertà.

Si tratta di ulteriori tasselli verso la deriva autoritaria nei confronti dei migranti, condita dalla solita propaganda razzista: l’obiettivo – neanche più troppo velato – non è tanto arrestare i flussi migratori, quanto invece gestirli e filtrarli con l’unica intenzione di creare soggetti terrorizzati e ricattabili, da usare nel mercato dello sfruttamento del lavoro. Funziona così da anni: si limitano i diritti e le libertà, anche a colpi di violenze e intimidazioni, per giocare sui corpi delle persone la solita partita delle nostre economie cosiddette sviluppate.

A partire dalle condizioni in cui versano le centinaia di persone che arrivano a Trieste – chi in transito verso altri luoghi, chi per richiedere asilo qui e ora – e dall’esperienza di cura e solidarietà che viene portata avanti ogni giorno in Piazza Libertà, vogliamo lanciare una prima assemblea pubblica sul tema, per non lasciar cadere nell’indifferenza questo nuovo attacco alla libertà di movimento delle persone.

Burjana // Linea d’Ombra ODV

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25 Aprile – L’antifascismo è nostro e non lo deleghiamo!

Negli anni del ritorno dell’ultra destra al governo, sempre più impegnata ad aggredire il diverso e reprimere chi manifesta il proprio dissenso, il presidente del Senato dichiara come nella Costituzione non ci sia alcun riferimento all’antifascismo e come il 25 aprile possa “mettere d’accordo tutt*”. (Caro Ignazio studia la storia: i partigiani, ai fascisti come te, sparavano, non ci si mettevano d’accordo!).

Negli ultimi mesi stiamo sistematicamente assistendo all’utilizzo e all’approvazione di leggi sempre più repressive: multe, pene carcerarie e forme persecutorie di ogni tipo colpiscono chiunque si dissoci dagli schemi imposti dallo Stato. Il tutto condito da minacce e atteggiamenti intimidatori di stampo mafioso che molt* di noi stanno vivendo quotidianamente sulla propria pelle. Sorvegliare è punire: ci ricorda qualcosa?

Nel frattempo l’amministrazione triestina dimostra ogni giorno il proprio disinteresse nei confronti di migranti e ultim*, negando strutture per diritto all’accoglienza ed assistenza a chi ne ha bisogno. Coerentemente, il sindaco Dipiazza intanto si presenta con il saluto romano, non ascolta cittadini e cittadine che si oppongono alle sue politiche e tratta il consiglio comunale come il suo feudo privato. E’ indegno che sia un personaggio del genere a condurre le celebrazioni che dovrebbero riportare alla memoria i valori dell’antirazzismo, dell’uguaglianza e della lotta all’oppressione. Nella rosa degli alti papaveri della politica regionale che il 25 sarà in Risiera, davvero pochi sono coerenti con quanto dicono nella vita di tutti i giorni. Usare le cerimonie per ripulirsi coscienza e immagine pubblica è la più fascista della azioni, svilisce la memoria di chi ha lottato e svuota di significato le parole che vengono spese a loro celebrazione.

Finchè le stesse istituzioni che si inginocchiano davanti ai lager nazisti finanziano i CPR in Europa e i centri di detenzione in Libia, Turchia, Israele, ogni celebrazione sarà una presa in giro e una vergogna. Infatti, per proteggere la fortezza Europa, i paesi membri (non importa governati da quale sfumatura di colore nell’arco parlamentare!) stipulano con paesi come Libia e Turchia accordi con lo scopo trattenere i migranti in condizioni disumane, sostenendo e finanziando attivamente respingimenti e torture ai confini.

Per questi motivi noi non vogliamo partecipare alle loro cerimonie ufficiali, non vogliamo che il giusto e doveroso ricordo dei morti dello sterminio nazifascista e delle lotte partigiane diventino una bandierina da esibire un giorno all’anno per ripulirsi la coscienza. Siamo antifascist* sempre ed il 25 aprile scendiamo in corteo per riaffermarlo chiaramente: l’antifascismo non è un evento da ricordare ma una necessità ancora purtroppo attuale.

Il 25 aprile ci vediamo alle 9 in Campo San Giacomo.
L’antifascismo è nostro e non lo deleghiamo!

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[10/01] Following the Balkan Route (1° incontro): dai campi profughi di Atene a quelli di Trieste – Benefit!

MARTEDÌ 10 GENNAIO / ORE 19.00
VICOLO DELLE ROSE 1

Nel corso del 2022 il governo Greco ha sgomberato l’ultimo campo profughi interno al tessuto urbano di Atene, il campo di Eleonas. Per mesi i residenti si sono opposti al proprio spostamento coatto, consapevoli che ciò avrebbe significato la loro ulteriore segregazione nei campi che disseminano le campagne greche, lontano da infrastrutture sanitarie, opportunità lavorative, scuole, tagliati fuori dalle reti del trasporto pubblico. La resistenza di Eleonas è stata fatta di barricate, donne, uomini, vecchi e bambini, cacerolazos, presidi, cortei selvaggi e comunicati stampa, tavoli al Ministero e interventi al Municipio, solidarietà antirazzista e internazionale. Ma anche arresti e morte… infine lo sgombero ed il trasferimento.

Come sono cambiati i flussi migratori in Grecia? Cosa ci può insegnare la vicenda Greca, ed in particolare il caso di Eleonas, sui meccanismi della governance della migrazione in Europa? Quali sono le differenze e le somiglianze con il caso di Trieste, estremo opposto della stessa rotta balcanica?

Ne discuteremo il 10 gennaio con ricercatori, solidali e militanti.

Per l’occasione sarà possibile acquistare la rivista Lo Stato delle Città, sul cui ultimo numero è presente un articolo dedicato alla vicenda di Eleonas.

Oltre a ciò sarà aperto il bar della Burjana, i cui ricavati andranno a beneficio degli inguaiati con la repressione greca.