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Il Primo Maggio non è dei confederali

Dopo la disastrosa gestione del 25 aprile si sarebbe potuto credere che la questura avesse esaurito tutte le sue idee allucinanti. Invece no. Ieri a Burjana e Coordinamento no green pass sono state recapitate le prescrizioni per il Primo maggio, mostrando come all’assurdo non ci sia mai limite. Questa volta si sarebbe voluto vietare alle nostre realtà di portare un impianto in corteo, senza che i confederali battessero ciglio davanti a questo flagrante tentativo di limitare la libertà di manifestazione.

Usiamo il condizionale perché l’USB, a sua volta convocata per ricevere le prescrizioni, mobilitando immediatamente legali e giornalisti ha fatto pressione su Digos e Questura e, sottolineando l’assurdità e la gravità della situazione, è riuscita ad ottenere di poter utilizzare il proprio impianto seppur a “congrua distanza” dai confederali. Ieri l’USB ha inoltre deciso di aderire al nostro spezzone e quindi terminerà il corteo assieme a noi e allo spezzone anarchico in piazza Libertà.

In un clima di cosí plateale disinteresse della politica tutta e dell’economia per le necessitá e i diritti delle persone, è raccapricciante che CGIL, CISL e UIL, per il secondo anno di fila, abbiano cercato di imporre, attraverso la questura, la loro presenza in piazza nelle modalità congeniali esclusivamente a loro, tentando questa volta di silenziare quello spezzone sociale che già sanno essere antagonista tanto ai padroni quanto a chi con loro tratta servilmente.

Confederali: non ci farete tacere e se vi fa paura che si senta quello che abbiamo da dire, è forse perché in fondo sapete che abbiamo ragione. In un mondo di precarietà in aumento, crisi economica e ambientale non possiamo sentirci rappresentati da voi, che pacificate il conflitto sociale, che evitate lo scontro col potere, che silenziate le vere necessità delle sfruttate e gli sfruttati.

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25 aprile 2023: divieti, manganelli e un’allegra passeggiata antifascista

La giornata del 25 Aprile a Trieste si potrebbe definire surreale e grottesca, ma al tempo stesso bellissima e di comunità. Un grazie di cuore a tutte le persone e realtà che, nonostante l’irricevibile divieto del corteo da parte della questura, hanno scelto di partire lo stesso, dando vita ad una passeggiata antifascista sulle zone pedonali. Un 18 TULPS invece all’ingente spiegamento di forze dell’ordine in antisommossa che con 5 camionette, agenti e digos ha bloccato ingiustificatamente il traffico di mezza città.
Il movimento antifascista triestino ieri ha risposto unito e determinato alla chiamata del collettivo Burjana alla costruzione di un 25 aprile diverso, antitetico all’ormai ingessato siparietto istituzionale di finto rispetto alla memoria della Resistenza e delle persecuzioni nazifasciste. Volevamo arrivare insieme fino alla Risiera, denunciando sì l’ipocrisia delle istituzioni, in questa giornata che dovrebbe essere di condivisione e ricordo, ma senza mancare di rispetto al luogo di memoria che è la Risiera. Era stato dichiarato fin dall’inizio, e ribadito in diversi interventi lungo la strada.
Il questore Ostuni, invece, inventa oggi fantomatiche minacce e rischi posti dalla passeggiata alle celebrazioni ufficiali per giustificare la sua maldestra incompetenza e inettitudine nel gestire il famoso ordine pubblico. Dichiara: “L’intenzione dei manifestanti era di entrare in Risiera durante la cerimonia e disturbarla”. Niente di più falso. Infatti la passeggiata si è conclusa esattamente come era stata immaginata e comunicata fin dall’inizio: al di fuori della Risiera.
Il questore non cerchi di scaricare su di noi la sua incapacità nel gestire il malcontento generale. In un sol colpo, è riuscito a negare il diritto a celebrare la giornata della Liberazione sia a chi ha partecipato alla passeggiata, sia a chi si è ritrovatə esclusə dalle celebrazioni ufficiali per pericoli mai esistiti, e si vergognino i giornalisti che, con orwelliana omertà, danno voce acritica a queste dichiarazioni. È stato il questore a decidere di schierare – senza un motivo concreto – agenti in tenuta antisommossa di polizia, guardia di finanza e carabinieri: davanti al gruppo di antifascistə, a destra e a sinistra dell’ingresso alla Risiera e in via Valmaura. Sono stati lui e la DIGOS a dare dimostrazione di totale incomprensione della giornata, impedendo che si rispettasse la memoria della Resistenza.
Corteo e persone rimaste fuori dal monumento non sono responsabili del caos e della violenza di ieri: sono, al contrario, la parte meravigliosa della giornata. Gli e le antifascistə triestinə si sono riunitə, confrontatə e hanno deciso coralmente di partire nonostante le immotivate e insensate prescrizioni. Hanno dichiarato con cori, slogan e interventi la necessità di essere antifascistə e antirazzistə ogni giorno, e ribadito l’importanza di ricordare Resistenza e morti del fascismo con azioni reali piuttosto che con siparietti una volta all’anno. Bloccatə a 200 metri dalla Risiera, hanno denunciato l’assurdità di quel dispiegamento di forze dell’ordine, chiamando ad avvicinarsi tutte quelle persone che alla Risiera stavano andando o – come ancora non sapevamo – stavano venendo tenute fuori da altri cordoni di antisommossa. In tantə si sono avvicinate allo schieramento che bloccava il corteo, circondando gli agenti e creando uno stallo durato quasi due ore. Nel mentre arrivavano foto e notizie dei blocchi davanti alla Risiera stessa, del piazzale mezzo vuoto e di Dipiazza e Fedriga che si riempivano la bocca di parole come: “In questo monumento nazionale che è la Risiera si celebra la festa di un intero paese” e “sono contento dell’ampia partecipazione [che] testimonia che questa è una manifestazione unitaria”. Dichiarazioni surreali, data la situazione. 
La giornata non poteva che finire in modo altrettanto assurdo: la polizia ha caricato le persone bloccate, manganellando una compagna a terra alla testa mentre stava raccogliendo il pallone che i manifestanti usavano per giocare a “sbirro-volley” da un lato all’altro del cordone, un modo ironico per sottolineare l’assurdità della situazione. Una palla che ha fatto perdere il controllo agli esaltati delle prime file, che a stento sono stati poi trattenuti dai loro capi.
Solo dopo questa scena incredibile e a cerimonia ufficiale ormai quasi conclusasi, la DIGOS si è finalmente decisa a sciogliere il blocco, lasciando sfilare le persone presenti fino alla Risiera. L’ultima prova di inettitudine doveva però ancora esser data: la celere schierata a sbarrare l’ingresso al monumento con persone dentro e fuori.
Non ci sono parole per descrivere la gravità di questo fatto! Forze dell’ordine schierate per impedire a degli antifascisti l’ingresso in un posto della memoria, il 25 aprile per giunta.
L’abbiamo detto ieri, lo ribadiamo oggi: qualcunə è responsabile di questo disastro, qualcunə deve renderne conto.
È ormai evidente a chiunque che i livelli di repressione e violenza questurile sono in constante crescita e che dobbiamo fare fronte comune agli ignobili divieti di manifestare ed esprimere dissenso. Ieri siamo statə unitə e abbiamo dimostrato la freddezza e la determinazione che hanno reso questo 25 Aprile un vero giorno di lotta. Grazie ancora a tutti e tutte, ci auguriamo sia solo il primo giorno di un lungo percorso.
Fiducia nello stato non ne abbiamo, l’antifascismo è nostro e non lo deleghiamo.
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Alfredo Cospito e la vittoria

“Io sottoscritto Alfredo Cospito comunico di voler sospendere lo sciopero della fame”. Con questo schietto messaggio, scritto su un modello prestampato apposito per le comunicazioni fra detenuti e magistrati, il militante anarchico comunicava mercoledì scorso al Tribunale di Sorveglianza di Milano la sua decisione di tornare a mangiare. Dall’Ospedale San Paolo di Milano, Cospito finiva così 181 giorni in cui ha messo a vero rischio il proprio corpo — unico strumento a sua disposizione nell’isolamento in cui è costretto a vivere — per la lotta contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.

Il giorno precedente, la Corte Costituzionale dichiarava l’incostituzionalità della norma applicata alla sua condanna, che impediva il riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti relative ai fatti contestati (due pacchi bomba a basso potenziale messi davanti alla caserma allievi carabinieri di Fossano che non hanno determinato morti, feriti o danni gravi), sulla cosiddetta recidiva reiterata. Finora, questa norma stabiliva l’automatica applicazione dell’ergastolo ostativo, che impediva a sua volta il riconoscimento dei benefici penitenziari — semilibertà, liberazione condizionale, permessi premio, ecc. — a* detenut* che non “collaborano con la giustizia”.

In altre parole, la Consulta ha fatto cadere la regola che ha consentito ai giudici di murare a vita Alfredo in carcere (e, con lui, chiunque altr* condannat* per gli stessi reati), senza consentire un eventuale sconto di pena basato sulla valutazione degli effetti concreti dei fatti attribuitigli.

Alfredo continuerà per ora ad essere rinchiuso nel 41bis, ma la scintilla della sua lotta ha prodotto questo significativo risultato, che porterà non solo alla revisione del suo processo, ma anche ad evitare che altr* possano subire la stessa sua sorte. Un risultato che, come ha detto qualcuna, “non è certamente una ‘vittoria’ dello stato di diritto o un ‘ritorno’ ai princìpi della costituzione, bensì un risultato conseguito dallo sciopero della fame e dal movimento di solidarietà internazionale sviluppatosi nell’arco degli ultimi 11 mesi”.

La vittoria non è un assoluto, ma una tappa che ogni tanto si riesce a percorrere lungo la strada. E oggi, nonostante tutto l’orrore che circonda questa vicenda, non possiamo non sentire un briciolo di gioia per questo obiettivo raggiunto.
Gioia perché la lotta paga, anche quando logora chi la porta avanti, come Alfredo, che forse non recupererà mai la sua capacità deambulatoria, causa i danni che la fame ha inflitto al suo sistema nervoso periferico.
La lotta paga e, talvolta, come oggi, riesce a superare la forza di una repressione di Stato sempre più pervasiva, di cui le condanne a rimanere “sepolti in vita” come certi apparati dello stato hanno provato a fare con Alfredo sono solo la punta della piramide. Nei livelli sottostanti si trovano il carcere “normale”, le infinite multe (sempre più care per questioni sempre più banali), i dispositivi legali “preventivi” (fogli di via, daspo, sorveglianza speciale), gli sgomberi degli spazi liberati, i divieti di manifestare, la censura nelle pubblicazioni, la militarizzazione dello spazio pubblico.
Alfredo Cospito, come tante altre prima, ci ha insegnato che tutto questo non rende impossibile lottare per ciò in cui si crede, che è ancora possibile scatenare ondate di solidarietà in modo trasversale, che l‘autoritarismo dello Stato, con tutta la sua potenza, non è onnipotente.
Quindi ringraziamo profondamente Alfredo, e tutte e tutti coloro che ogni giorno, anche lontano dai riflettori, si spendono, senza perdere la gioia di vivere, per generare mondi migliori dentro questo mondo di merda. Grazie.
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La questura di Trieste vuole vietare il corteo antifascista del 25 aprile

Quelle che vedete nella foto sono le prescrizioni consegnateci ieri da personale della digos di Trieste, con la quale a due persone scelte arbitrariamente dalla polizia si intima di “non porre in essere” alcuna manifestazione che si allontani da Campo San Giacomo, vale a dire di non fare il corteo del 25 aprile.

Se è lampante la gravità di un questore che vuole impedire un corteo antifascista proprio il 25 aprile – con la scusa del pericolo di arrecare disturbo alle celebrazioni in Risiera -, per noi questa ennesima dimostrazione della volontà di vietare e reprimere è irricevibile.

Abbiamo deciso di manifestare autonomamente il 25 aprile, giorno della liberazione dell’Italia dalle forze nazifasciste, perché per noi ritrovarsi in un luogo della Memoria al fianco delle forze politiche che governano questa città e questo comune non è un’opzione, poiché queste hanno la forma, la dialettica e l’ideologia del nuovo fascismo.

Ci preme sottolineare in particolare due cose.
La prima è appunto la contrapposizione che la questura per prima delinea tra la nostra iniziativa e le celebrazioni ufficiali del giorno della Liberazione, parlando a sprezzo del ridicolo di safety e security, quasi a dire che il 25 aprile nessunx (e noi in particolare) deve disturbare il siparietto in giacca e cravatta delle famigerate istituzioni democratiche, in gran parte incarnate da personaggi che il resto dell’anno non fanno neanche finta di non essere fascisti o loro alleati.

La seconda è il perimetro asfissiante che la polizia politica sta cercando di tracciare attorno a tutto ciò che gravita dentro, a fianco o anche solo nei paraggi della variegata comunità chiamata Burjana (si veda anche quanto successo a Trieste Hardcore).

Per la questura, il corteo antifascista non si deve muovere o può farlo ben lontano dal 25 aprile – fisicamente e temporalmente, come si può leggere. Altro che diritto a manifestare e altre favole.

Confermiamo e rilanciamo quindi con forza l’appuntamento di martedì in Campo San Giacomo alle 9: sarà ancora più importante esserci, per mostrare pubblicamente che per tante e tanti la stanca ritualità della Risiera non è mai stata sufficiente a celebrare e praticare l’antifascismo in un momento in cui farlo è più importante (e ostacolato) che mai. Decidiamo insieme, in piazza,come agire. La questura sta attaccando tuttx lx antifascistx. 

L’antifascismo è nostro e non lo deleghiamo!
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Lo spauracchio anarchico e la repressione preventiva (ancora)

Sabato a Torino la rabbia degli oppressi si è riversata nelle strade del lusso. È stata sfondata qualche vetrina. Succede. Qualche celerino ha visto dei sampietrini volare verso di lui. Capita. Un paio di specchietti di Suv sono stati sradicati. Spiaze.

Ci rammarichiamo solamente che qualche compagna non sia riuscita a esserci.

La condanna a morte di Alfredo, non poteva lasciarci indifferenti. C’è stato il dolore, c’è stata la rabbia e c’è la consapevolezza che, in questa continua lotta di chi si mobilita contro sfruttamento, disuguaglianze e repressione dello stato, la condanna a morte di un compagno segna un punto di svolta.

Come accennato, sabato a Torino qualcuna a quel corteo non c’è nemmeno arrivata perché, con la scusa dello stato di “necessità e urgenza”, le guardie hanno iniziato a fermare le persone nelle strade della città già dalla mattina. Quattro di noi sono state fermate, gli sono stati tolti i telefoni, sono state portate in questura e perquisite senza avere la possibilità di avvisare nessuno.

Più di venti persone sono rimaste fino alle 22 in un portico di venti metri quadri senza poter chiamare un avvocato, senza telefoni, senza possibilità di avere risposta sullo stato di fermo.

Le nostre compagne fermate sono state rilasciate a tarda sera tutte con foglio di via da Torino per un anno, con l’accusa di essere socialmente pericolose. Come nel caso del 41 bis, il foglio di via è un dispositivo integrato nell’ambito dell’antimafia e spesso trasformato in arma contro la dissidenza politica. In questo caso, la supposta pericolosità sociale delle compagne era dovuta alla loro volontà di partecipare a un corteo.

Nel verbale di perquisizione scrivono che abbiamo rifiutato di avvalerci di un legale di fiducia. Falsità: la richiesta di un avvocato è stata ribadita collettivamente per ore, cercando pure di far passare il numero del legal team ai passanti in strada, e ottenendo invece come risposta lo schieramento di un blindato antisommossa (oltre al portone da cui cercavamo di comunicare).

«Che l’unica guerra a cui partecipiamo ci veda a fianco di tutti gli sfruttati, sulla barricata che ci divide dagli sfruttatori, a urlare la nostra rabbia per una decisione che segna un ulteriore cambio di passo nella repressione delle lotte: la condanna a morte di un compagno.»

P.S. Ne approfittiamo per condividere un’utile guida, che di questi tempi non si sa mai: https://infuriati.noblogs.org/files/2017/02/Sicurezza-e-Controsorveglianza-lettura.pdf

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Respinto dalla Cassazione il ricorso di Alfredo Cospito

La Cassazione ha respinto il ricorso dell’avvocato di Alfredo Cospito.

Resterà al 41bis.

Condannato a morte da uno stato assassino!

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Continuare a seminare su terra bruciata

A seguito di certi fatti accaduti durante le scorse settimane, e con una minima prospettiva, sentiamo la necessità di condividere alcune riflessioni.

Iniziamo riassumendo i suddetti fatti. Sabato 4 febbraio, Trieste Hardcore prevedeva di organizzare, in orario pomeridiano, un concerto dove avrebbero suonato diverse band. Doveva essere il quarto appuntamento di una serie di eventi organizzati per portare musica punk live in una città dove manifestazioni del genere sono più uniche che rare. Il giorno prima dell’evento, il gestore dello spazio avvisa gli organizzatori che la polizia politica, ai più nota come Digos (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali), gli ha “consigliato caldamente” — parrebbe tramite un consigliere circoscrizionale di FdI — di annullare il concerto.

Qual è stata la motivazione di questo intervento preventivo e avvenuto nell’ombra da parte della questura? Nient’altro che la presunta presenza di anarchicx ai concerti di Trieste Hardcore, la quale, secondo gli agenti, avrebbe portato inevitabilmente a violenti disordini e a gravi danni durante l’evento (nonostante quelli precedenti non avessero generato altro che quintali di sudore, qualche decibel sopra la media e molta gioia). Davanti a tali avvertimenti, i gestori dello spazio si sono sentiti costretti ad accogliere la “richiesta” dei digossini. Niente più concerti, e non solo: salta anche la disponibilità dello spazio per un’altra iniziativa di Burjana in programma per marzo (stay tuned!).

Qualsiasi persona con un minimo di coscienza storica non si stupirà di questo utilizzo repressivo dello spauracchio anarchico. Da quando lo scorso 20 ottobre Alfredo Cospito ha iniziato uno sciopero della fame — che continua ancora oggi, nonostante le sue fragilissime condizioni di salute, in una cella dell’ospedale San Paolo di Milano omologata al 41bis — si è scatenata una campagna di solidarietà che è andata ben oltre il suo gruppo politico di riferimento. Per il ritorno di Alfredo ad un regime carcerario “normale” e contro gli istituti del 41bis e dell’ergastolo ostativo, si sono espressi non solo parlamentar*, giornalist* e giurist* di taglio progressista, ma anche numerosi gruppi politici extraparlamentari che — come la Burjana — non sono direttamente ascrivibili all’area anarchica.

Questa trasversalità ha mandato in tilt i meccanismi politico-mediatici del governo meloniano e dei difensori a oltranza delle torture istituzionalizzate (tra cui spiccano, appunto, il regime del 41bis e l’ergastolo ostativo). La risposta di quella macchina è stata un revival del “terrore anarchico”, attraverso una prassi comunicativa semplice quanto efficace: circoscrivere all’area anarchica qualsiasi azione realizzata in solidarietà con Cospito, ingigantire i sabotaggi e focalizzare tutta l’attenzione mediatica su di essi. Per vederne il risultato basta aprire qualsiasi quotidiano o guardare per pochi minuti un qualunque telegiornale. Nel giro di poche settimane è stato rimesso in piedi il vecchio nemico pubblico numero 1. La logica su cui si basano tutte le informazioni a riguardo è la seguente: Gli anarchici sono il male + soltanto gli anarchici esprimono solidarietà con Cospito >> Chiunque esprima solidarietà con Cospito è anarchico >> Chiunque esprima solidarietà con Cospito è il male.
Un sistema di sillogismi ridicolo e fallace, ma che sta portando a una repressione feroce.

Una volta messo in piedi e integrato all’interno della macchina mediatica, questo meccanismo risulta molto utile a questure, prefetture e comuni per mantenere il controllo dei loro feudi. La censura di fatto dei concerti di Trieste Hardcore ne è un esempio: essa è stata eseguita utilizzando come pretesto la vicinanza fra il gruppo punk e la Burjana (e quindi, per quanto spiegato sopra, fra TsHc e i pericolosi anarchici). Pretesto, diciamo, perché al netto delle contingenze, Trieste è una città dove qualunque iniziativa di gestione dal basso della socialità viene stroncata, in un modo o nell’altro, lapidata da multe e altri dispositivi repressivi, siano essi penali o amministrativi. Basta aver vissuto qualche anno da queste parti per farsi venire in mente più di un esempio di spazi di questo tipo che sono stati costretti, più o meno direttamente, a chiudere.

Decoro e civismo sono le scuse usate in tempi di “pace” per reprimere la creazione e lo sviluppo di spazi al di fuori dei circuiti del consumo obbligato e dello sfruttamento lavorativo. Ora che lo Stato italiano ha dichiarato di essere in guerra contro gli anarchici, le scuse cambiano, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: mantenere lo status quo, disclipinare le minoranze devianti adoperando meccanismi securitari in nome di una supposta maggioranza democratica.
Operazioni che, oltre alla repressione immediata, hanno come fine anche l’isolamento e l’inagibilità politica sul lungo periodo. Chi in questa città cerca di mantenere “l’ordine pubblico” sa bene che colpire spazi di socialità e aggregazione rende più difficoltoso creare reti di condivisione di idee, di visioni, di pratiche e di prospettive al di là di quelle delle istituzioni statali. Un obiettivo che accontenta una certa fetta di cittadinanza sdraiata e che diventa quindi redditizio dal punto di vista elettorale. Ed ecco che la giunta del decoro, del centro vetrina e dell’appiattimento culturale ritrova come alleato la macchina repressiva e divisiva dello stato.

Nonostante si tenti di farci terra bruciata attorno, noi non demordiamo. Continueremo ad aprire e a sostenere spazi di autogestione, dove immaginare e mettere in pratica altri mondi, dove lottare senza farci schiacciare ai margini, mantenendoci in contatto con la città e con la campagna, perché crediamo fermamente che i grossi cambiamenti che sogniamo siano la strada per rendere migliore la vita di (quasi) tutte e tutti.

Ci si vede presto, da qualche parte.

PS – Una piccola nota: pubblichiamo questa comunicazione sui nostri social perché è un modo di arrivare a più persone, ma spingiamo per una solidarietà attiva nel mondo materiale: pensiamo che la roboanza limitata alla realtà virtuale sia una delle peggiori tendenze dei nostri tempi. Come un cane che per istinto abbaia da dietro un cancello, ma quando questo viene aperto abbassa la coda e si ammutolisce, così le parole cui non seguono i fatti creano solo illusioni e false aspettative, contribuendo a generare frustrazione. Ci sembra di star vivendo tempi in cui non si possa più scherzare: prendiamoci cura l’un l’altra, difendiamoci e supportiamoci a vicenda concretamente, non lasciamoci addomesticare e opprimere senza reagire

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Noi, Alfredo e il minimo che andava fatto

Ci sono situazioni in cui il precipitare degli eventi rende tutto estremamente chiaro, senza bisogno di interpretazioni: i 100 giorni di sciopero della fame di Alfredo Cospito sono una di queste. Non c’è tempo per i giri di parole, i mille compromessi, le opportunità.
Abbiamo quindi agito animatə dall’urgenza e della rabbia, siamo scesə in corteo e ci siamo presə qualche metro in più, convintə che ora o si fa un passo oltre o si rimane schiacciatə. Ce lo insegna Alfredo, con la forza e la determinazione di chi mette in gioco tutto quello che gli resta per lottare contro gli abomini del 41 bis e dell’ergastolo ostativo.
Agiamo non per gioco o compromessi, ma proporzionalmente alla gravità della situazione, senza farci spaventare da qualche limitazione questurina e dai loro dispositivi di sicurezza. E anche su questo qualcosa bisognerà dirlo: perché negli ultimi anni, anche a seguito delle mobilitazioni no green pass, le prescrizioni in questa città sono sempre più assurde e restrittive, con motivazioni ormai sempre più pretestuose (ad esempio lo shopping…), impedendo di fatto di portare idee e voci differenti nel centro-vetrina del decoro e del turismo.

Abbiamo quindi bloccato la città e siamo andatə oltre, perché un uomo è murato vivo nelle gabbie medievali dello stato. Abbiamo salutato i detenuti del carcere, perché sappiamo quanto siano vergognose le condizioni di vita nelle galere. Abbiamo urlato per il centro sonnecchiante perché tutti devono sapere e nessuno possa dire, dopo, che non c’era niente da fare.

Abbiamo fatto quel che andava fatto e continueremo a farlo.

Alla persecuzione dello stato, alla sua repressione, alle limitazioni della libertà di manifestare, rispondiamo colpo su colpo. Per l’abolizione dell’ergastolo ostativo e del 41bis!

FUORI SUBITO ALFREDO DAL 41BIS

Alcune compagne e compagni

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Morire di pena, piattaforma per l’abolizione di ergastolo e 41bis

Abbiamo sottoscritto la piattaforma “Morire di pena, piattaforma per l’abolizione di ergastolo e 41bis”, una campagna di sensibilizzazione e rivendicazione che punta all’abolizione di questi due istituti e dei circuiti speciali di detenzione. Vi invitiamo a leggerla e a condividerla: https://abolizioneergastoloe41bis.wordpress.com/…/arti…/
Vi ricordiamo anche l’appuntamento di questo sabato 28 gennaio: un corteo con partenza alle 15 in Campo San Giacomo in solidarietà con la lotta di Alfredo Cospito, che oggi si trova al 99esimo giorno di sciopero della fame.
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Torniamo nomadi ma non ci fermiamo

A inizio novembre annunciavamo che il popolo nomade della Burjana sarebbe approdato per un po’ in vicolo delle Rose 1. Qui abbiamo affrontato il primo freddo dell’inverno con tre mesi di intensa attività: i martedì Burjana hanno alternato momenti di socialità e djset a presentazioni di riviste, proiezioni, raccolte fondi per sostenere realtà non-profit e militanti e la ciclofficina popolare Scontrosa Graziella. È partito il progetto Burjana Hardcore per riportare in città musica dal vivo, abbiamo ospitato assemblee e aperitivi dei gruppi cittadini organizzati dal basso contro il progetto dell’ovovia.

Ma da troppi anni fare socialità, eventi e attività culturale e politica a Trieste è ostracizzato in massima misura, mentre il turismo di lusso sottrae sempre più territorio a chi in città ci abita. Nel nome del decoro, chi vuole proporre percorsi culturali diversi dal semplice aperitivo al baretto viene soffocato in denunce e chiamate alla polizia: è quello che è successo a noi.

Posto che le scelte fatte riguardo lo spazio di Vicolo delle Rose non dipendono solo da noi, siamo quindi costrett* a migrare nuovamente.

Ma non ci fermiamo! Continuate a seguirci per scoprire dove continueranno le nostre attività, che siano outdoor o ospitat* da altre realtà (in attesa di avere una casa più stabile, a cui stiamo lavorando).

OGGI MARTEDÌ 17 GENNAIO NIENTE BURJANA,
SOLO PIOGGIA E UN PO’ DI AMAREZZA.
METEO PERMETTENDO, PORTEREMO BURJANA MARTEDÌ PROSSIMO, 24 GENNAIO, IN PIAZZA TRA I RIVI A ROIANO.